Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi. Noi no. Donate all'UNRWA.

venerdì 28 aprile 2006

- il tempo vola

Tre anni di (piccola) guerra al Terrore

Piangere i propri morti è giustissimo; stupirsene, un po' meno. In Iraq muore molta gente, tutti i giorni (per la maggior parte iracheni): e noi italiani siamo in Iraq da tre anni. Ecco, questo dovrebbe stupirci di più: la nostra piccola guerra compirà tre anni in maggio (e tre anni fa, il primo maggio 2003, Bush proclamò che le ostilità erano cessate).

Tre anni sono tanti per una guerra, anche se piccola. Pensiamo alla nostra di liberazione, che tanto ci fa discutere: per alcuni è la Resistenza antifascista, protocostituzionale; per altri è una guerra civile, madre di tutte le nostre divisioni; in entrambi i casi resta il momento fondante della nostra coscienza di italiani. Ed è durata due anni scarsi: 8/9/1943 – 25/4/1945. Certo due anni devono esser lunghi, coi tedeschi in casa. Nei racconti dei vecchi, e nei film in bianco e nero, sembra una guerra interminabile. Per contro tre anni di italiani in Iraq, non so voi, ma a me sono volati. Saranno le tv a colori (ma ormai di Nassiryia non si vede più niente), saranno i blog. Sarà che l'Italia della Resistenza era un'Italia bambina, e ai bimbi basta un pomeriggio di gloria per costruirsi, anni dopo, il ricordo di mesi e mesi di felicità. Mentre Italia di oggi è vecchia, e ai vecchi il tempo vola. Sono tre anni che siamo a Nassiriya. Abbiamo risolto qualcosa? Quand'è che ce ne andiamo?

Se allarghiamo un po' il campo, dalla casella Iraq allo scacchiere mondiale, ci accorgiamo che l'11 settembre di quest'anno la Guerra al Terrore compie cinque anni. Sono tanti. Per me, una soglia psicologica: cinque anni duravano, di solito, le Guerre Mondiali. Quella al Terrore è a suo modo una Guerra Mondiale – si combatte in Afganistan, Medio Oriente, New York, Madrid, Londra – ma rischia di durare parecchio di più. Del resto ce lo aveva detto lo stesso Bush: "sarà una guerra lunga". Quanti anni ancora, due? Tre? Venti? Ci abitueremo all'idea di una guerra infinita di bassa intensità? Ci siamo già abituati (teniamo sempre conto che in tre anni la campagna in Iraq ha fatto meno morti italiani di un qualsiasi ponte di Pasquetta).

Ci siamo talmente abituati che l'idea non ci impensierisce. Quello che un po' ci spaventa è la prospettiva di un'escalation – la crisi con l'Iran. Ma anche in questo caso, forse ci sfugge la dimensione del problema. Nei discorsi di Bush e compagnia, Ahmadinejad è paragonato spesso a Hitler. Anche se è dura credere a Pierino ogni volta che grida al Führer al Führer, l'accostamento non è del tutto campato in aria. Quello che forse ci sfugge è che si tratta di una stima per difetto: Ahmadinejad è un avversario più temibile di quanto fosse Hitler nel 1940.

Non vi pare? Qualche cifra. Su quanti sudditi ariani poteva contare il folle tiranno tedesco? Cinquanta milioni? [Update: mi segnalano che invece erano settanta]. L'Iran ne fa settanta. Ma i tedeschi, per quanto bene organizzati, potevano contare soltanto su due alleati di rilievo in tutto il mondo, uno dei due neanche troppo affidabile. L'Iran avrebbe dalla sua parte la solidarietà di tutto il mondo sciita, e forse buona parte delle masse islamiche – se si tratta davvero di un conflitto di civiltà, e la civiltà in guerra è l'Islam, parliamo di un miliardo di avversari virtuali. Non sono probabilmente tutti disposti a immolarsi per i loro fratelli, ma sono tanti. Una guerra contro un miliardo di persone non è stata ancora combattuta. È una prima mondiale.

Su un piano Ahmadinejad sembra meno temibile di Hitler: il fattore tempo. Gli esperti dicono che non avrà uranio necessario ad una bomba per dieci anni almeno – Hitler probabilmente c'è andato più vicino. D'altro canto dieci anni passano in un lampo, nella Guerra al Terrore. Non è escluso che gli americani comincino ora a parlarne per abituarci all'idea – il training per rendere accettabile al pubblico l'invasione all'Iraq durò più di un anno, e fu estenuante.

Quello che alla fine stupisce – o perlomeno, dovrebbe stupire – è la sproporzione tra l'entità delle accuse e la mobilitazione. Nel dicembre del 1941 Roosvelt si rese conto definitivamente che l'Asse era una minaccia per il mondo intero e per l'America: tre anni e mezzo dopo Hitler si suicidava, Hiroshima e Nagasaki venivano distrutte. L'undici settembre 2001 Bush si è reso conto della necessità di una guerra mondiale al Terrore; sono passati quattro anni e mezzo, e il Terrore bene o male è ancora in sella. Certo, in Afganistan e in Iraq il regime sta cambiando.

Ma si tratta di un processo maledettamente lento – chi ha tutto questo tempo? E cosa impedisce Bush, Blair (ma persino Berlusconi, che nei giorni migliori si professava loro alleato) da accelerare i tempi? Un motivo per cui la Guerra al Terrore non finisce mai, è che gli angloamericani la combattono (almeno in Iraq) con un quarto del contingente necessario. Per tacere degli italiani e della loro collaborazione omeopatica (per pattugliare un pezzo di strada a Nassiriya tutti i cittadini italiani del mondo sono virtualmente esposti ad attacchi terroristici).

Si obietterà che una mobilitazione più massiccia rischierebbe di affossare le carriere politiche di Bush e Blair. Ma i due sono al culmine della loro carriera, ineleggibili ormai, nel momento in cui dovrebbero preoccuparsi più della loro gloria di statisti che delle preoccupazioni elettorali (proprio come Roosvelt nel 1941). Possibile che nessuno faccia loro notare l'incredibile discrepanza tra i proclami di Guerra al terrore e l'effettiva entità del sacrificio che hanno chiesto ai loro connazionali? Se la minaccia è così grave, se è paragonabile al nazismo, cosa trattiene il Comandante in capo da portare in Medio Oriente tutti gli uomini che servono, ripristinando se necessario la leva militare?

Vien fatto di pensar male. Forse la minaccia non è così grave. Oppure sì, è grave, ma fino a che punto Bush e Blair sono interessati a debellarla davvero? Il Terrore si combatte per sconfiggerlo, o non piuttosto per amministrarlo? Per me è una domanda retorica, da più di tre anni in qua. Ma voi siete liberi di rispondere come preferite.

mercoledì 26 aprile 2006

- Bullandia

La terra dell'ignoranza

Il vero problema dell'Alta Italia è il fascismo, e il vero fascismo in Alta Italia non è quello di quattro sfigati in bomber. Prima dello squadrismo, molto prima, c'è la scuola dell'arroganza. L'Alta Italia ha inventato il fascismo, e continua a essere la maggiore produttrice di fascismo in Europa; tanto peggio se ormai l'articolo in Europa non se lo fila più nessuno: c'è sempre domanda interna, oh se ce n'è.

Ora vi state chiedendo: cos'è quest'Alta Italia? Di che fascismo sta parlando? Si è bevuto, infine, il cervello? L'Alta Italia, che alcuni chiamano padania, è la valle in cui il fascismo è stato inventato e vent'anni dopo debellato, casa per casa e cortile per cortile. Ma certe scritte nere si leggono ancora sotto gli intonaci.

Il fascismo. Mi piacerebbe ora prendervi per mano tutti e venticinque e portarvi in una secondary school di Spokane, Stato di Washington, USA, è lì che si è fermato il dito sul mappamondo. Quello che vi mostrerò non è il fascismo.

Entriamo in classe. Non serve bussare, non possono sentirci. E dunque. Ecco un ragazzino con gli occhiali spessi e l'apparecchio per i denti, che di nascosto dalla prof sta provando a fare un'equazione di secondo grado – quelle di primo ormai lo annoiano. I suoi sforzi sono disturbati dai proiettili di carta sputacchiata provenienti da cerbottane di terza fila: due bulletti di seconda categoria, uno dei due è ripetente. È uno stereotipo, mi rendo conto. Vi ho portato dall'altra parte del mondo per mostrarvi uno stereotipo.

Torniamo a noi. Entriamo in una qualunque media inferiore dell'Alta Italia. Ecco un altro ragazzino – questo ha l'asma e la scoliosi, e sotto il banco legge i Buddenbrook di nascosto. La cultura ha mille forme, il sapere è inesauribile. Ma i proiettili di carta sputacchiata sono gli stessi di Spokane; e anche i bulletti si assomigliano. Ora, una domanda: se lo stereotipo non cambia, se i bulletti arroganti ci sono dappertutto, perché la nostra scuola media inferiore produce fascismo, e quella di Spokane, Washington, no?

Per rispondervi ho bisogno della mia vecchia macchina del tempo. Ecco. Sono passati dieci anni, e il nerd di Spokane, Washington, ha trovato un lavoro in un'azienda di Seattle. Ingegnere informatico – come vedete non mi discosto dallo stereotipo. In cantina sta ancora lavorando a un'idea che potrebbe diventare un brevetto e sistemarlo per tutta la vita – nel frattempo è un membro stimato della società. A volte per scherzo porta i fuoristrada all'autolavaggio dove lavorano i due bulli ex compagni di classe, che guadagnano un sesto di quello che prende lui.

Il bello è che tutto questo è davvero uno stereotipo. Non fa notizia. Tutti sapevano che sarebbe andata così: lo sapeva il nerd (per questo era così paziente), lo sapevano i bulletti (per questo erano così rancorosi). Non è né giusto né sbagliato: è il mondo. Il bullismo scolastico è un modo per reagire a una società che ti sta per lasciare a terra. Non è fascismo, è disperazione. Al limite, il super-bullo prende l'intera scuola in ostaggio e fucila tutti quanti.

Ora torniamo in Alta Italia – ma attenzione, siamo ancora dieci anni in avanti. Il ragazzino che leggeva i Buddenbrook abita ancora coi suoi, e sta per addottorarsi con una tesi sulle opere giovanili di Th Mann scritta t u t t a in t e d e s c o! Per il resto, è un disadattato. Esce poco la sera, non ha niente da mettersi, e la macchina della mamma è un catorcio. A Tubinga, in Erasmus, conobbe una ragazza fiamminga, ma non poteva funzionare. Quando incontra i suoi ex bulli di classe, li saluta ancora con affetto e una sfumatura reverenziale: uno è vice-titolare della concessionaria del padre, l'altro dirige una catena di autolavaggio.

Credo di avere risposto alla domanda: cos'è il fascismo? Il fascismo è l'arroganza dell'ignoranza. I balilla contro i quattrocchi. Il bullismo che esce dalla scuola e diventa struttura sociale. L'ignoranza è premiata, accudita, festeggiata; la cultura per contro produce solo alienazione.

Continuare a studiare, in Alta Italia, significa autoemarginarsi. Non c'è nessun premio al termine del tuo percorso di studi: tutt'intorno l'ignoranza è al lavoro. Come facciamo a sorprenderci della crisi della piccola industria italiana, quando la maggior parte di queste piccole industrie sono state lasciate in mano a eredi incompetenti, senza laurea o con una laurea inutile? Gente che ha creduto in Tremonti, e magari in buona fede. Gente che non crede, e non crederà mai, in paroloni come "innovazione" o "cultura d'impresa", perché appunto sono solo paroloni, quando tutti sanno che la cultura non serve a niente, è roba da quattrocchi asmatici e invertebrati.

L'altra faccia della medaglia è il Liceo. E qui le responsabilità non sono tutte settentrionali. C'è molta Bassa Italia nell'invenzione gentiliana del Liceo – la scuola dei ricchi impostata sull'apprendimento di materie inutili, possibilmente lingue morte e strasepolte. C'è una diffidenza tutta borbonica verso la cultura del lavoro – il lavoro è roba da servi, i padroni nulla fanno, tutto il giorno. Ma in Bassa Italia chi studia è perlomeno rispettato. Il vero fascismo nasce quando il Liceo gentiliano mette le radici in Alta Italia. È a quel punto che la scuola per nobili diventa una scuola per alienati. I figli dei metalmeccanici che hanno imparato le declinazioni non vorranno più fare i metalmeccanici. Ma non riusciranno nemmeno a riconvertire le declinazioni in un gradino superiore del ciclo produttivo. Quello succede nel resto del mondo: in Alta Italia la laurea non l'appendi neanche al muro. Puoi bruciarla, o usarla come passaporto per l'estero.

Una terza strada c'è: puoi restare in Alta Italia, e fare l'insegnante. Passerai il tempo tra bulli e secchioni. Senza sapere da che parte stare, a questo punto.

venerdì 21 aprile 2006

- deluso, I

L'ha detto la Cassazione? Quindi siamo sicuri? Ma sicuri sicuri, eh? Quindi io posso andare? Vado? Vado.

Amici utenti, è ufficiale.

Il Governo Prodi mi ha deluso.

Il Governo Prodi si è rivelato inadeguato a tutte le mie speranze, a tutti i sogni di un'Italia più giusta e onesta, e il bello è che voi pensate che io stia scherzando, e invece no. Sono serio, e sono seriamente deluso dal Governo Prodi.
E non per il cosiddetto balletto delle cariche, suvvia. Neanche per le dichiarazioni, a me piace goffo com'è, Amo Reggianes et Farfugliantes. No. Io mi sollevo da questa cronaca spicciola, io vedo lontano, io sono deluso dal Governo Prodi già da nove anni. O forse dieci. Nel senso che poteva essere il 1996 o il 1997, quando il Governo Prodi per la prima volta mi deluse. Non per l'Euro a 1936, no. Non per i sacrifici e tutto il resto, ma per un motivo molto più concreto. For a concrete reason.

I contributi alle rottamazioni.

È stato Prodi a introdurle. Non ve lo ricordavate? Io me ne ricordo – io sono deluso da allora. La grande industria italiana fondata sull'automobile languiva, e il Governo ebbe l'idea di rilanciarla finanziando la rottamazione delle vecchie auto (non era nemmeno un'idea originale, credo che la presero dai francesi). Sarebbe stato un bene per la fiat, dicevano, e quel che è bene per la fiat è un bene per l'Italia. Sarebbe stato un bene anche per l'ambiente.

Si è visto, nei dieci anni a venire, com'è andata bene per la fiat, per l'Italia e per l'ambiente. Ora il petrolio schizza su (questo Prodi non poteva saperlo), e noi abbiamo perso un altro decennio a ipermotorizzarci, invece di abbandonare gradatamente quell'anacronismo puzzolente e micidiale che è il motore a scoppio. I comunisti al governo – col beneplacito dei capitalisti all'opposizione hanno ammazzato i nostri bambini e ci hanno concimato le strade d'Italia, è chiaro questo? No, secondo me non è chiaro. Provo a fare un esempio.

L'altro ieri è uscita un agenzia che contava i morti stradali delle vacanze di Pasqua: 44. Due in meno dell'anno scorso, miglioriamo. 12 incidenti mortali in 96 ore, 18 delle vittime avevano un'età inferiore ai 30 anni. Voi ne avete sentito parlare? No, eravamo tutti preoccupati perché un kamikaze a Tel Aviv ha fatto fuori sei israeliani. Per carità, un fatto odioso, una guerra asimmetrica e orribile. Ma vogliamo parlare un poco anche della guerra sulle strade italiane? Non è altrettanto asimmetrica e orribile? Perché non fa inorridire nessuno?

Muoiono ragazzi, donne e bambini. Ma è naturale. È solo un effetto collaterale della Pasquetta. E allora io mi chiedo dov'è il populismo, quando serve. Perché non c'è un leader populista che chiede la chiusura del traffico integrale durante i ponti? Perché nessuno inneggia al linciaggio dei pirati della strada? Perché la gente ha voglia solo di linciare i p e d o f i l i? Ammazzano e storpiano più bambini le auto sportive o i p e d o f i l i ? Dico sul serio, avete provato a fare il conto?

Sono morti 44 italiani in quattro giorni. Roba da proclamare il lutto nazionale. Minuti di silenzio nelle scuole e negli stadi, giornata alla memoria dei caduti della Pasquetta. E invece niente. Non succederà niente. È giusto e decoroso morire incastrati in una lamiera, è il nostro modello di sviluppo che ha bisogno del sangue dei suoi martiri. Chi per l'Auto muor, vissuto è assai.

E Romano Prodi mi ha deluso anche per questo motivo.

mercoledì 19 aprile 2006

- meditazioni davanti al bicchiere mezzo vuoto, 2


La questione non generazionale

La mia generazione mi fa senso, non ho nessuna voglia di vedere i miei coetanei al potere, e quando ci andranno non avrò nessuna fiducia in loro. Spero che sia tardi e che abbiano messo giudizio, nel frattempo. Naturalmente sto generalizzando, ogni tanto mi piace, è liberatorio. Fatelo anche voi.

La questione generazionale è semplicemente la lotta di ogni generazione per affermarsi su quella di papà. Se noialtri facciamo fatica a imporci è per tutta una serie di congiunture storiche, sociali ed economiche, oltre al fatto che siamo degli smidollati; volendo essere più sottili, ci sono congiunture storiche, sociali ed economiche che hanno spinto i nostri padri a crescerci da smidollati, e se stessimo giocando a "di chi è la colpa?" avremmo già risolto. Purtroppo invece si gioca a "chi paga?" Le colpe dei padri ricadono sui figli, sta scritto sulla Bibbia. Gesù non era d'accordo? Sta bene, è a verbale.

La questione generazionale ha padri non proprio nobili. Filippo Tommaso Marinetti, il fascista più geniale e più stupido (ruppe con Mussolini alla vigilia della Marcia su Roma, rientrò qualche anno dopo con la coda tra le gambe) proponeva di sostituire il Senato con un Eccitatorio composto da soli giovani. Faccio notare che se la Costituzione l'avesse modificata Marinetti, invece che Calderoli, oggi l'Unione governerebbe alla grande, senza un Senato di barbogi col diritto di veto.

Nella Storia ci sono state gerontocrazie ed eccitatori, grandi potenze dirette da senatori barbogi e Imperi in mano a ragazzini. L'importante non è che siano giovani o vecchi, ma che muoiano presto. Questo è il segreto di un buon governo: avere pochi anni davanti, e poi morire, possibilmente senza lasciare eredi. Ed ecco che di colpo non c'è più nessun conflitto d'interessi, tutti si scoprono statisti, tutti vogliono lasciare un bel ricordo per lapidi e statue, persino Sharon voleva essere il padre della pace. Ben vengano i giovani, insomma, a patto che muoiano alla svelta. Ecco, se invece di Calderoli o Marinetti ci fossi io, proporrei questo: governo di soli cinquantenni, a 55 li facciamo senatori a vita e a 60 li ammazziamo. Credo che a quel punto la carriera politica sarebbe appannaggio di chi sente davvero la vocazione, di chi non ha più interessi a questo mondo. Un governo di santi. Scusate, ogni tanto ho fantasie radicali e violentissime, voi no? Avete dei problemi, riguardatevi.

La questione generazionale è un falso problema. In Italia ci sono un sacco di vecchi, è giusto che governino: se almeno lo facessero da vecchi, con saggezza e senza avidità di beni terreni che non potranno portare con sé. E invece abbiamo vegliardi che governano da ragazzini, avidi e irresponsabili, e ora ci siamo messi in testa che l'antidoto è gente come Scalfarotto, giovani seri, posati e come dei vecchi. Posso capirlo, ma è innaturale. Anche nel giornalismo: Giuliano Ferrara dovrebbe darsi un contegno e Luca Sofri sbracarsi un po'. Per fare un esempio.

Il problema non è l'età anagrafica: ci sono persone anagraficamente non anziane (D'Alema, Fini) che sono politicamente decrepite. Perché sono le stesse facce per cui ci sgolavamo al liceo 15 anni fa: un po' più grigie e bolse, ma sono le stesse. Lo stesso Berlusconi, quand'è che la pianta con questa storia del non professionismo? E' da 12 anni che non fa altro che politica, anche quando polemizza con Ancellotti sembra a un comizio elettorale.

I giovani danno un altro problema: che se poi ci arrivano, al potere, non schiodano più. Uno stronzo anziano almeno è anziano. Ma Capezzone, quando ce lo leviamo di torno? Forse mai. La mia generazione rischia seriamente di invecchiare e morire a braccetto con questo nerd che ci spiega che non capiamo nulla sugli embrioni e sulla guerra al Terrore, che se solo la TV lo inquadrasse di più... uno disposto a mandare mezza Italia al massacro in un referendum suicida per il gusto di ergersi a difensore dell'aborto e della staminale, uno che quando crolla il governo risorge nell'altro schieramento, uno che alla sua tenerà età è già più antipatico di Rutelli adesso, e quando avrà l'età di Rutelli? E per allora ci sarà un altro partito clerical-moderato da dargli in mano? Difficile. Occorrerebbe schiodare Rutelli. Vedete? Giriamo sempre intorno allo stesso problema.

Non è una questione generazionale. E' una questione umana. Abbiamo la stessa classe dirigente da 15 anni, e in questi 15 anni era statisticamente impossibile che questi signori, sotto le telecamere in media una volta la settimana, non facessero qualcosa di brutto, qualcosa che ce li ha resi, prima o poi, antipatici e quasi invotabili. E' come il Grande fratello, ma dura da 15 anni. E non eliminano mai nessuno. E non si può cambiare canale. E' un format a metà tra il Grande Fratello e l'inferno dantesco, in effetti.

Per dire, io non ce la faccio a votare D'Alema. Non ho moltissimo contro le idee di D'Alema, ma a questo punto non lo considero più affidabile. E' relativamente giovane, ma per me è un vecchio matto che non sa vivere senza un sondaggio (senza averne mai azzeccato uno, il che statisticamente non cessa di sbigottirmi). Certo, mi rendo conto, a questo punto non ha senso chiedere a D'Alema di non pagare più sondaggi, è più o meno come convincere un eroinomane a smetterla. (Ma chi continua a offrire sondaggi a D'Alema ha la stessa moralità di chi offre uno schizzo a un metadonizzato).

Vi ricordate i test on line che si facevano prima del voto? Dovevi rispondere a domande sul programma, e poi il software ti diceva che partito avresti dovuto votare. Ebbene, il test non funzionava mai. Perché il problema non è il programma, chi se ne frega del programma, il problema sono le facce. Io per certe facce non posso più votare, per certe altre non voterei mai (secondo il test dovevo votare Capezzone). Non sono necessariamente facce vecchie. Ma sono politicamente consumate. Dovrebbero cambiare mestiere, ma esiste un mestiere per i post-politici?

Ai vecchi tempi dell'Impero (quello romano), i consoli che avevano esaurito il cursus honorum li mandavano a ingrassarsi nelle provincie. Ecco. Ci vorrebbero provincie appena conquistate, da pacificare e spremere. Fini e D'Alema a Nassiryia, a pattugliare i pozzi e lucrare sulle commesse ENI. Scusate, ogni tanto ho fantasie coloniali, ma non do fastidio a nessuno. Do fastidio a voi? Potevate evitare di leggere fin qui sotto, scusate.

martedì 18 aprile 2006

- non c'è limite al peggio

Meditazione davanti al bicchiere mezzo vuoto


- Si stava meglio se si stava peggio


Una settimana fa andai a letto stupido. Pensavo: cos'ho fatto di male per nascere qui? E cosa c'è di peggio di perdere le elezioni per un soffio?
Mi sbagliavo, perché ero stupido. Qualcosa di peggio c'è, e ho iniziato ad accorgermene il mattino seguente: vincere le stesse elezioni per un soffio. Ora sto giocando a tennis in salita, e il servizio è mio.

Quello che una settimana fa appariva un incubo, oggi si presenta con le tinte rosee di un sogno. Ci pensate? Martedì scorso Berlusconi proclama la vittoria per 25.000 voti alla camera e –x al Senato. Dal centrosx si leva qualche timida accusa di brogli, ma si smorza subito. Di grande coalizione non parla nessuno, a parte Mastella, ma nessuno lo ascolta.
Dopo il panico iniziale, il centrosx si rende conto di navigare in un mare di opportunità. Berlusconi ha perso voti e popolarità rispetto a 5 anni fa, non potrà certo andare al Quirinale (ci andrà un qualsiasi democristo). Dovrà limitarsi a un aborto di governo con due seggi di scarto al Senato, tra i lazzi della stampa estera e interna. Gli alleati ormai lo odiano, ma non possono più fare senza di lui. Il referendum confermativo è un disastro, la Lega vuole smarcarsi. Lui è nervoso, già prima si sentiva limitato nei suoi poteri dai ministri e dal Parlamento, ora è pure peggio. Al primo Dpef, cola a picco. A questo punto si fa un Dini Due; se Dini nel frattempo è morto (in effetti è da un po' che non ne sento parlare) va bene un qualsiasi democristo: e a settembre si rivota. Esagero? Si vota tra un anno. Berlusconi non ha certo guadagnato popolarità, nel frattempo. Intanto però il centrosx ha avuto il tempo per trovarsi un candidato più giovane, sexy e settentrionale (per ora il più simile all'identikit è Fassino, ma si può fare di meglio).

Bello, no?
Non resta che sperare nella Cassazione.

- Compagni, avanti, il gran Partito
Noi siamo, dei… dei… dei…


In un Paese isterico, un Paese inesistente, dove va di gran moda l'Identità e tutti ne cercano una, tutti atei e devoti a scavare come matti in cerca di radici a cui attaccarsi (ché verrebbe voglia di risotterrarli e Amen); in un posto del genere dove pur di esistere la gente è disposta a ufficiare riti Celtici, ripeto: Celtici; dove milioni di Signori Nessuno si fanno un vanto di essere Liberali, o Cattolici, o Conservatori, o Comunisti, come se un aggettivo con la lettera maiuscola fosse sufficiente a risolvere il problema circa la loro identità; in un Paese del genere dove se non riesci a essere Nessuno, hai pur sempre la scappatoia: puoi essere un AntiNessuno: un Anticomunista, un antiliberale, un anticlericale… in un Paese del genere, dove di programmi non si parla da secoli perché diciamolo, come si fa a parlare di programmi in mezzo a gente che ha paura di Non Esistere? Ha più senso sbandierare drappi colorati; in un Paese così, i due principali partiti dello schieramento progressista decidono di mettersi assieme sotto l'insegna, l'insegna, l'insegna… del nulla.

Comunisti? Noooo.
Cattolici? Ma sì, un po', ma mica tanto, eh. Niente croci, qualcuno si potrebbe spaventare.
Liberali? Certo! Però poco… altrimenti poi qualcuno pensa che vogliamo liberare chissaché.
Progressisti? Ma per forza. Però con molta calma, eh.
L'Ulivo? L'Ulivo è una gran pianta, ma non esageriamo, poi la gente pensa che siamo ancora quelli del '96, e in effetti è così, ma è meglio suggerire che…
L'Unione. Perfetto. Unione di che? Non importa, adesso. Siamo Uniti, quindi Siamo.

Niente identità, che è troppo compromettente.
La Gente, si sa, la Gente, potrebbe sospettare che anche noi esistiamo, che abbiamo delle Idee, degli Ideali, dei Valori, roba troppo impegnativa, non conquisteremo mai gli Indecisi in questo modo, no?
"Già, e come allora?"
Li conquisteremo se riusciamo a non dire nulla di decisivo fino all'ultimo: per esempio, le tasse, chi non vorrebbe pagarle meno? Ma anche i servizi: chi non vorrebbe averli migliori? Sempre così, fino all'ultimo giorno: meno tasse, meglio servizi, meno tasse, meglio servizi, li intercetteremo così, gli indecisi: spostando continuamente la coperta corta di qua e di là.
Questa idea di conquistare gli Indecisi mimetizzandosi tra loro, diventando Indecisi come loro, questa idea è persino affascinante, da tanto è demenziale.

venerdì 14 aprile 2006

- anche tu corsivista


Muori giovane, lascia un bel cadavere

(Ogni tanto va ripetuto: qui non c'è niente di speciale. C'è solo un signore che invece di comprare il giornale, di notte sta alzato e si scrive gli editoriali da solo).

Le illusioni sono dolorose, io se posso cerco di farne a meno. Mi sarebbe piaciuto dire e scrivere in questi giorni che il Grande Comunicatore era stato battuto da un nonnetto reggiano (come a dire, il Grande Chiunque). Mi sarebbe piaciuto dire e scrivere che la decennale campagna elettorale permanente era finita: ma non è andata così. Io non credo che Prodi abbia vinto, non credo che governerà per cinque anni; e non dovrebbe nemmeno provarci. Ci sono persino precedenti: nella primavera 1994 Berlusconi formò un governo con una maggioranza in Senato di un solo seggio (e non era un seggio eletto nelle liste del Polo); e nell'autunno del 1994, ai primi capricci di Bossi, Berlusconi tornò a casa. A Prodi succederà lo stesso, prima o poi: gli alleati bizzosi non mancano. Volendo possiamo anche iniziare a scommettere su quando Bertinotti aprirà la crisi (ed è un bene che possa farlo solo Bertinotti e non Capezzone).

Quel che un governo Prodi dovrebbe fare, secondo me, è morir giovane e lasciare un buon ricordo. L'esatto contrario di quello che fece D'Alema nel 1998 proseguendo a oltranza la legislatura. Prodi non può vivacchiare per cinque anni blandendo alleati e pubblica opinione: ma se scontentando qualcuno riesce a darci, in pochi mesi o anni, un'impressione positiva, anche solo una vibrazione, l'idea che si può essere felici anche senza Berlusconi – allora sì, ne sarà valsa la pena, e potremo tornare alle urne con più tranquillità. Viceversa, se Prodi fa un guaio ci siamo giocati anche le rielezioni.

Con questo non voglio dire che Prodi debba tagliarci le tasse, perché non ha senso mettere in commercio una brutta copia di Berlusconi sperando che qualcuno lo preferisca all'originale. Gli elettori che nell'urna pensano all'ICI e al 740 sono il pubblico ideale di B., e c'è un limite oltre al quale non ha senso rincorrerli. Fortunatamente non tutti sono ossessionati dall'idea di pagare una tassa in meno. C'è anche chi guarda alla qualità dei servizi, e non sono necessariamente snob di sinistra. I pendolari, ad esempio. Se Prodi manda a casa quella cricca di sedicenti manager che ha spappolato le già non brillanti Ferrovie di Stato, molte persone ne trarranno un beneficio improvviso e quotidiano. Idem si potrebbe dire per le Poste, o per le scuole (ma la scuola è una macchina complicata, ci mette anni a migliorare, e Prodi tutto questo tempo non ce l'ha). E la televisione – lo so, ci sono cose più importanti, ma lo stralcio immediato della legge Gasparri e la scomposizione del duopolio televisivo potrebbe portare una ventata di novità nelle case di tutti gli italiani: insieme alla dimostrazione che si può fare tv anche meglio di come l'ha fatta B.

Un altro colpo sicuro è il fantasma di tutta la campagna elettorale, e cioè la guerra. Si sa come Berlusconi non ami parlarne. Anzi, credo che un confronto storico delle prime pagine dei quotidiani degli ultimi cinque anni ci dimostrerebbe che Berlusconi e la guerra erano due argomenti repellenti. Come l'acqua e l'olio: quando parliamo di Berlusconi smettiamo di parlare della guerra, e viceversa.
Tutto questo è paradossale, da parte di un Presidente che è stato per lungo tempo Ministro degli Esteri ad interim, e che ha trascinato l'Italia in una guerra contro l'opinione della maggioranza degli italiani. Il ritiro dall'Iraq (e dall'Afganistan) non piacerà agli americani e forse andrà contro alcuni nostri interessi economici (ammesso che gli interessi dell'ENI e delle industrie italiane d'armi siano i nostri). Però è un sistema spiccio per fare la differenza nei confronti degli elettori: se B. ci ha trascinato in una guerra, esponendoci al terrorismo islamico, P. deve essere quello che ci tira fuori in tempi brevissimi. Anche perché tra un poco rischia di cominciare la partita in Iran, ed è una partita molto più grande di noi.

Ai filoamericani vorrei ricordare, rispettosamente, che non è in ballo il destino della democrazia in Medio Oriente. Quello lo stanno difendendo gli angloamericani. Noi stavamo semplicemente pattugliando qualche pozzo: tutt'intorno la Storia si fa con o senza di noi. Ma sul serio, non la trovate imbarazzante, questa nostra partecipazione omeopatica alla grande guerra al Terrore?

Migliorare alcuni servizi, toglierci dal vespaio mediorientale – privilegiare gli interventi che si possono fare rapidamente. Insomma, quello che io chiedo a Prodi è né più né meno che un governo elettorale. Precisamente. Perché siamo ancora in campagna elettorale, non c'è niente da fare. Prodi deve soprattutto piacerci.

E mi rendo conto che non è la persona più adatta a farlo. In effetti, lo avevamo scelto proprio come antidoto alla fascinazione berlusconiana. Dopo cinque anni di allegra anarchia, Prodi doveva ridurci a più miti consigli e riportarci in Europa, come dieci anni fa (lo schema dell'alternanza in fondo è questo: la destra ci fa sognare, la sinistra ci riporta coi piedi per terra, ma dopo un po' ci torna la voglia di sognare e rivoltiamo a destra, ecc. ecc.). Stavolta l'Europa dovrà capirci: siamo un Paese in difficoltà, un Paese in via di deberlusconizzazione. Serviranno anni e sono possibili ricadute, quindi è inutile fare gli schizzinosi coi bilanci. Tanto più che finché B. resta in circolazione, tutta l'Europa è a rischio contagio.

Infine vorrei poter dire che in questa strisciante opera di deberlusconizzazione, Prodi può contare su un alleato prezioso: Berlusconi stesso, che in questi giorni si sta accreditando presso gli italiani come un isterico che non sa perdere. Vorrei poter dire che altri due-tre mesi di questo Berlusconi antipatico in tv dovrebbero risolverci il problema: i perdenti non piacciono a nessuno, i perdenti isterici poi. Ma non ne sono del tutto sicuro. B. ormai è un veterano della politica: sa stare all'opposizione, c'è stato sette anni, anzi gli riesce meglio che governare. E c'è una metà del Paese a cui B. piace esattamente così: arrogante e meschino. E lui deve dare alla gente quel che la gente vuole, è la sua missione.

mercoledì 12 aprile 2006

- aguzzate la vista

Gli identikit e i sondaggi: cos'hanno in comune?

Niente. Sono solo gli argomenti di oggi. A volte nei blog si fa così: si pigliano i due fatti del giorno, li si frulla insieme, e ci si crede intelligenti. Prendete nota, ché capiterà anche a voi.

Gli identikit, come i sondaggi, devono dosare realismo e fantasia. Tradurre sensazioni in dati oggettivi – che poi oggettivi non sono mai. In parte è scienza, ma la premessa è pura magia: dalla foto di un ragazzo, tirar fuori un uomo anziano. Da qualche agguato a un seggio, tirar fuori un risultato nazionale. I disegnatori di identikit, come i rilevatori di sondaggi, si muovono sulla lama sottile tra soggettività e luogo comune. Metà professionisti metà ciarlatani, fanno un mestiere ad alto rischio di errore.
E infatti ultimamente prendono cantonate clamorose. Perdonate se continuo a battere sul tasto, ma un blog serve anche a questo. Gli exit poll sono sondaggi molto costosi e rischiosi, che costano quattrini alla collettività, con l'unico risultato di causare malessere psicologico e anche fisico almeno a una parte della collettività. (Io, per dire, ho avuto un'eruzione cutanea). Gli identikit dovrebbero aiutarci a lottare contro il crimine – ma chi lo avrebbe mai riconosciuto, Provenzano, da quell'identikit? Nemmeno i parenti, andiamo.

Gli errori sono facili da rintracciare, col senno del poi – ma solo col senno del poi? Gli elettori di centrodestra sono più timidi all'uscita del seggio, è cosa nota – ma visto che si sapeva già, perché non sono stati applicati dei correttivi? E il naso delle persone cresce, è una delle poche cose che continua a crescere anche in età avanzata, lo so persino io, com'è possibile che i professionisti della Polizia di Stato (o dei CC) abbiano affibbiato al boss Provenzano quel nasino da ragazzo? Un paio di occhiali, poi, a quell'età è quasi d'obbligo. Tutte facili obiezioni. Perfetto, ecco cosa deve fare un blog: le facili obiezioni. Così poi i professionisti hanno più tempo per fare le obiezioni complesse.

I sondaggi, come gli identikit, hanno un'ultima cosa in comune: convincono. Malgrado i ripetuti fallimenti, riescono sempre a creare un'aura di credibilità intorno a sé. Come le opere d'arte, sono a volte più verosimili del vero. Non ci dicono la verità, ma quello che vorremmo sentirci dire. E allora forse vale la pena di leggerli alla rovescio: l'identikit più visto d'Italia non ci mostrava il volto di Provenzano, ma la nostra idea di Provenzano. Il Provenzano che ci sarebbe piaciuto incontrare e catturare.

Un uomo, per prima cosa. Non un vecchietto col collo grinzoso, gli occhiali da vista, il naso a patata. A dispetto dell'anagrafe, un uomo di mezza età, vigoroso, lo sguardo impercettibilmente malinconico, ma senza pietà. Il disegnatore ha azzeccato gli zigomi, ma ci ha messo sopra uno strato di pelle sottile, come se Provenzano fosse un modello a dieta. Forse è lo Zeitgeist, forse ormai siamo capaci di disegnare soltanto modelli a dieta. I parchi di ogni città d'Italia sono pieni di pensionati dagli zigomi morbidi e gonfi, ma il Provenzano-Ideale ha due spigoli scavati nel legno. Perché non è un pensionato. È un dirigente. E quindi non è un nonno: è un padre.

(In un romanzo di Lucarelli c'è un killer geniale che si camuffa da nonno. Si camuffa così bene che tutti quelli che lo vedono passare, pensano istintivamente ai loro nonni. Provenzano si è travestito nella stessa maniera per tutti questi anni).

Domenica abbiamo dovuto scegliere, come capo di governo per i prossimi cinque anni, tra due candidati sulla soglie della settantina. La cosa è già bizzarra da sé (a settant'anni, io non credo che farò progetti quinquennali, né per me né per il mio Paese). Ma ancor più bizzarro è il fatto che il più anziano dei due, Berlusconi, abbia cercato per tutto il corso della campagna di accreditarsi come più giovane e scattante: via le rughe, pelle tirata sotto gli zigomi, stile arrogante da imprenditore in carriera. Mentre Prodi, vuoi per reazione, vuoi per istinto, si è sforzato assai più del necessario a interpretare il ruolo del nonno, bonario e rassicurante – e la guancia cascante certo non gli difettava.

Io a Prodi voglio bene – ridendo e bofonchiando, è l'unico italiano ad aver battuto Berlusconi, e non una ma due volte. Di misura, d'accordo, ma l'ha battuto – e il fatto che l'abbia battuto un tipo così grigio e qualunque come lui, mi dà un surplus di soddisfazione, "se ce l'ha fatta lui poteva farcela chiunque", è la sconfitta di ogni logica di mercato politico, qualcosa di incomprensibile per qualsiasi esperto di scienze della comunicaz. E poi è un reggiano testaquadra, un prof di Bologna, la sintesi di ciò che l'Emilia ha di più rassicurante. Ma soprattutto Prodi è già un nonno, e il nonno in Italia funziona. Da Pertini in poi, perlomeno. Per carità, io quelli che parlano di ricambio generazionale li capisco, e li stimo. Ciascuno di loro mi sembra una persona intelligente. Ma presa nel suo insieme, la generazione dei quarantenni mi sembra una massa di bambinoni inaffidabili. Ora come ora preferisco puntare sui nonni. Usato sicuro.

Anche Berlusconi anagraficamente è un nonno – ma è quel tipo di nonno che tenta in tutti i modi di restare un padre. E come un padre ti blandisce e ti sbeffeggia, è diventato il Rivale, ti toglie spazio, ti dà del coglione e t'impedisce di crescere, si risposa con una ragazza della tua età – è il Padre da sconfiggere. Con l'aiuto del Nonno, l'insospettabile killer.

Io, se non s'era ancora capito, sono rimasto a Freud: gira che ti gira, noi facciamo politica anche per uccidere papà. L'identikit che ha fatto il giro di mille giornali e telegiornali, non ci diceva molto su Provenzano – in compenso è il ritratto sputato del nostro Papà collettivo: ancora in forma, spietato, triste, il rivale perfetto. Dovevamo scovarlo. Tradirlo. Questo ci chiedeva, l'identikit.
E stamattina a un certo punto il telegiornale lo ha mostrato: il Padre è stato tradito, ora è solo un povero vecchio. E intanto su Internet il Nonno, paziente, vinceva la sua ultima partita. Troppo bello per esser vero. Infatti non lo è. Sono solo simboli: si pigliano i due fatti del giorno, si frullano, e a volte quel che salta fuori è tutto qui: simboli. A cosa servono? A niente, forse. E gli identikit, a cosa servono? E i sondaggi?

martedì 11 aprile 2006

- allacciate le maniche


Ma chi è che diceva di vivere nell'LSI, il Libero Stato d'Isteria? Io? L'ho detto io? Ma allora avevo ragione, su una cosa almeno.

Il nostro è uno Stato di Incoscienza, un paradosso popolato da 57 milioni di persone a cui è meglio dare sempre ragione, sempre, perché non si sa mai. Questo solo stamattina posso dirvi, e se non siete d'accordo vi cito semplicemente due dati:

* Gli exit poll.
Non ci hanno preso, tante grazie, ma avete notato che non ci prendono mai? Voglio dire, non è fantastico? Una rilevazione statistica che sfida le stesse leggi della probabilità. Si tratta di decidere se ha vinto X o Y, e non ci sono terze opzioni. Se faccio con la monetina testa o croce, ho il 50% di probabilità di azzeccarci. Ma se mi affido agli exit poll, da dieci anni a questa parte, ho lo 0% di probabilità, che sono 50 punti percentuali sotto la monetina. Ciononostante noi, voglio dire la Rai, paghiamo un prestigioso Istituto perché ci mostri degli exit poll a partire dalle 15 del pomeriggio. Perché? Perché siamo matti, non ci sono altre spiegazioni. Faccio presente il Mago Otelma in diretta tv avrebbe maggiori possibilità di azzeccarci. O al limite potrei andare io, in tv, a lanciare la monetina, e Ilvo Diamanti poi commenterebbe il mio lancio di monetina, e vi garantisco che io costo meno del Prestigioso Istituto.
E mi spiace citare una persona così apparentemente seria come Diamanti, ma l'ho sentito io, ieri, io con le mie orecchie, spiegare che un dibattito pomeridiano su dati farlocchi avrebbe dato forma al dibattito politico nazionale vero e proprio: il che in un certo senso è perfino vero: la nostra classe dirigente è formata da isterici che sono diventati tali a furia di compulsare compulsivamente statistiche farlocche e sempre - sempre! - sbagliate.

Ora alla Rai diranno che lo fanno per battere la concorrenza, e la concorrenza dirà che lo fa per battere la Rai, e in ogni caso è quel che il publico vuole: ma il pubblico, se non ci fossero le proiezioni degli exit poll, non guarderebbe la diretta con le proiezioni degli exit poll. E' chiaro che se arrivi nel Paese dei matti col carrozzone e prometti l'Elisir di lunga vita, la gente viene a vederti: ma questo non significa necessariamente che la gente per partito preso ami essere presa in giro. E' un ragionamento folle. Non è più un ragionamento. E' follia e basta.

La cosa fantastica è che lo diranno tutti, si lamenteranno tutti, e tra due-tre anni saranno lì di nuovo a guardare gli exit poll. Perché - non me ne voglia Mantellini - gli statistici hanno un modo fantastico per autopromuoversi, sarà il colore delle cravatte, loro muovono un po' la testa e il matto che è in noi non capisce più nulla, ha detto il signore che l'Ulivo è sopra di cinque punti, wow.

*Gli italiani all'estero
E a voi magari sembra ormai una cosa normale. Ma non lo è! E' follia pura! Follia illiberale, tra l'altro, in un Paese dove a momenti si spacciano per liberali anche gli animali domestici. Lo devo ripetere? Ci sono nel mondo persone d'origine italiana che, senza contribuire al PIL, senza usufruire dei servizi dello Stato, probabilmente senza pagare tasse, possono decidere col loro voto la maggioranza in Parlamento e il Governo. Una cosa folle, che va contro un principio elementare del liberalismo ("Non c'è tassazione senza rappresentazione", e viceversa: lo dicevano i patrioti americani). Una cosa che rende il nostro Paese unico al mondo - come se ce ne fosse il bisogno: soltanto noi italiani regaliamo le decisioni sul nostro futuro a chi vive da generazioni a un oceano di distanza.

Io lo scrissi già tre anni fa, e volentieri qui mi ripeto: molti se ne stanno accorgendo soltanto stamattina. Complimenti. Benvenuti nell'LSI, Libero Stato Isterico. Allacciate le cinture della camicia di forza e buon viaggio. Quando arriveremo non si sa, e a questo punto chi se ne frega. L'importante è stare in giro.

lunedì 10 aprile 2006

- scaromantico

Sto pensando che forse ce la facciamo forse ce la facciamo forse ce la facciamo dai.
Ma se non ce la facciamo?

Io ai sondaggi non credo - ma ai brogli, ai brogli un poco sì.
Questa cosa del voto elettronico in Liguria, Lazio, Sardegna, Puglia… voti registrati su chiavette USB… voi vi fidereste di una chiavetta USB? Io no.
Io vedrò, non mi sbilancio, ma se i risultati sono un po' strani potrei anche prendere il treno e venire ad accamparmi in quella piazza, come si chiama, la Piazza di Monte Citorio. E invito tutti a pensarci seriamente: martedì mattina si prende un treno e via. Si fa picchetto, si denunciano i brogli, si chiede un riconteggio, un rivoto, qualunque cosa. Come l'Ucraina, ma senza bandierine colorate. Oppure sì, perché no, io non ho niente contro le bandierine colorate, prego. Come a Kiev, ma a Roma.
E Roma in aprile ha da esser bella.

I tre giorni che sconvolsero il mondo, a partire da domani

Sto pensando che mi piace questa idea di venir giù in treno martedì a far la rivoluzione a Roma. Che a Roma c'è gente che non vedo dai millenni. Sul serio, a Roma c'ho degli amici che a quest'ora li hanno messi coi Fori, da tanto che sono antichi. Ché già ce li vedo: lì c'è la Basilica di Massenzio, lì l'Arco dell'Imperatore Caio Sempronio, e lì i miei amici che non vedo, appunto, dal duemila avanticristo, e manco li chiamo più, dalla vergogna.
Ma t'immagini se martedì all'improvviso suona il telefono: "Ehi, son proprio io, indovina, sto venendo a Monte Citorio a fare la rivoluzione, esatto, hai sentito? siamo in parecchi, dai vieni pure tu!" Ci faccio persino una bella figura. E poi si sta un po' in piazza, si grida, si schiamazza, ci si informa su cosa abbiamo combinato negli ultimi secoli, e ne avremo di cose da dirci. Altrimenti finisce che non ci vediamo proprio mai più, mai più, la vita è una sola e a volte neanche tutta.
Insomma di motivi per fare una rivoluzione ce ne sono sempre, ma in aprile, a Roma, io fatico a trovare dei motivi per non farla.

Mi dispiace per la mia ragazza, che martedì sarà al lavoro, e ha ordini per tutta la settimana. Mi spiace un sacco. Ma la mia scuola è sede di seggio, io sono congedato fino a tutte le vacanze di Pasqua, e come me tanti studenti, così se m'immagino la rivoluzione d'aprile a Roma, ci vedo molti insegnanti e soprattutto studenti, torme di studenti, e ce li vedo bene gli studenti accampati in Monte Citorio a Roma, che di notte si stringono nel cellophane, come ai tempi di Tienammen – sono carini gli studenti, tutti gli vorranno bene, tutta l'Europa ci vorrà bene se in aprile si fa la rivoluzione a Roma, verranno delegazioni dall'Ucraina e da Parigi, sarebbe una cosa dolcissima.

Bisognerebbe solo stare attenti che nessuno si metta a bruciare le macchine – che tanto lo so come va a finire. Io sono quel tipo di rivoluzionario che finisce sergente nel servizio d'ordine, lo sfigato che di notte andrà di ronda per via che nessuno bruci le macchine. Andrà come Genova, io lo so. A Genova venne Manu Chao per un concerto, e io avevo la maglietta gialla del servizio d'ordine noglobal, una contraddizione in termini. Dovevo impedire alle persone di oltrepassare la linea gialla della corsia ambulanza – adesso ditemi voi come si fa a impedire a dei ragazzini venuti da tutto il mondo per oltrepassare una linea rossa a dirgli che oltrepassare la linea rossa è ok, ma quella gialla non si può – e poi cercavo anche di tenerli lontani dagli scogli, non volevo che si rompessero la testa, è da scemi rompersi la testa il giorno prima della revolución.

Mi dispiace per la mia ragazza, ma se vado a Roma è anche per una questione di responsabilità, i ragazzini non capiscono oggettivamente nulla, cominceranno a bruciare le macchine ancor prima di capire cosa sta succedendo, ci vuole qualche trentenne posato che mantenga un barlume di ragione in mezzo al carnevale, e se proprio devo essere io, io mi sobbarco, sarà come andare in gita scolastica, salvo che si fa la rivoluzione.

Poi se qualche giornalistucolo del cazzo, non sapendo chi inquadrare, inquadra me, io lo so già cosa dire: "rifiutiamo i risultati di queste elezioni, che riteniamo inquinate da brogli elettorali. Facciamo appello al Presidente della Repubblica affinché indica al più presto nuove elezioni sotto l'egida di osservatori stranieri eccetera"
"Ma lei a nome di chi parla?"
"Io parlo al nome del popolo, e lei in nome di chi fa le domande, scusi?"
"Ma è vero che bruciate le macchine?"
"Non è vero, però è fantastico. Vi hanno fottuto le scuole gli ospedali le pensione le tasse il futuro sotto il naso, ma se vi fottono la macchina guai, la macchina è sacra".
"Buona questa, però adesso me la devi ripetere con un'altra parola al posto di fottono, così la possiamo mandare in fascia protetta, ti va?"

Non sarebbe fantastico trovarsi di nuovo tutti lì, con gli amici di Roma e con gli amici di tutta l'Italia, e l'Europa, tutti quegli amici di amici che nemmeno ricordiamo di avere, davanti alle telecamere del cazzo a parlare in nome del popolo? E se piove non ci sarà neanche troppo fango, non c'è terriccio in sul Monte Citorio, se ricordo bene. E se qualche poliziotto viene a romperci la testa, sarà certo un danno, ma non ne sarebbe valsa la pena? Tutti quanti su Monte Citorio per tre giorni, non saprei immaginarmi una primavera più bella e più giusta. Mi spiace solo per la mia ragazza, ma se teniamo duro fino a sabato potrebbe scendere anche lei. Sarà Pasqua e avremo vinto. Campane, campane dappertutto. Quante campane ci sono a Roma? Andremo a suonarle tutte. Ci faremo dare la lista delle parrocchie e convinceremo educatamente ogni parroco di Roma. E il mondo intero starà ad ascoltare e capirà come si fanno le rivoluzioni fatte bene. Una rivoluzione che ce la copieranno a Teheran e a Washington, e in tutte le città dove c'è decisamente bisogno di una rivoluzione. E ancora per millenni gli studenti in gita scolastica si sentiranno dire: sulla vostra destra c'è la famosa Piazza di Monte Citorio, dove scoppiò la famosa rivoluzione che tutti da allora si sognano, la Rivoluzione delle Campane, ding dong, ding, dong

"L'hai sentita la sveglia, o no?"
"Scusa, stavo facendo un sogno".
"Un brutto sogno?"
"Lasciami pensare. No".
"Senti io devo andare, ho un sacco di lavoro e lo sai. La colazione è pronta. Ricordati di andare a votare".
"Votare".
"Così vinciamo e non se ne parla più".
"Vinciamo?"
"Non lo so se vinciamo, come faccio a saperlo? Ma sei sicuro di essere sveglio?"
"Temo di sì".

Sto pensando che forse ce la facciamo, ma se non ce la facciamo? Ma dovremmo farcela, ma se non ce la facciamo?

venerdì 7 aprile 2006

- calpesti & derisi


Siam pronti alla vita


Fratelli d'Italia,
l'Italia è un po' stanca.
è al verde, va in bianco,
e il rosso l'ha in banca.
Dov'è la Vittoria,
diciamolo, dove?
Siam qui dalle nove
e Vittoria non c'è.



Fratelli d'Italia,
l'Italia è per terra,
in crisi, in declino,
e pure un po' in guerra.
Dove sei, Vittoria,
la volta che servi?
Che rabbia, che nervi,
l'Italia imprecò.

Fratelli d'Italia, l'Italia è un po' a pezzi,
per quanto la osservi non ti raccapezzi:
ché dopo quattr'anni di aiuti a Tremonti,
né mari né monti ne possono più.

Fratelli d'Italia, l'Italia è precaria:
stivale spaiato che scalcia nell'aria.
Dov'è la Vittoria? Ma quanto fattura?
Di monte in pianura l'Italia franò.


Poropò
Poropò
Poropoppoppoppoppò
Dall'Alpe a Sicilia,
dovunque è una pena:
ogni uomo per Silvio
ha dolori alla schiena.
Del sangue d'Italia
non sei già satollo?
Vuoi spezzarci l'ossa?
vuoi pure il midollo?


Fratelli d'Italia,
l'Italia sta fresca.
Di quanti cantieri
si cinse la testa…
Dov'è la Variante?
Perché è così tardi?
Chiedete a Lunardi,
l'Italia non sa.
Fratelli d'Italia,
l'Italia s'è rotta:
nessuno al timone
che tenga una rotta.
Dov'è la Vittoria
(o almeno un Pareggio?)
Qui dal male al peggio
in picchiata si va.


Fratelli d'Italia,
rompete le righe.
Chi mai v'ha promesso
cinque anni di sfighe?
E chi v'ha arruolato
alla guerra infinita,
pensando a una gita,
l'Italia tradì.
(Si stringono a corte,
- ma con un' "o" sola! -
Son pronti alla morte,
finché è una parola.
Si stringono a corte,
a leccare il più forte,
se ha le gambe corte
in ginocchio si stan).


Noi siam da cinque anni
calpesti e derisi,
perché siam coglioni,
perché siam divisi.
Vogliamo un po' bene
a 'sto suolo natìo?
Uniti, perdio,
chi vincer ci può?
Fratelli d'Italia,
sorelle, cognate,
non datevi vinti,
non vi rassegnate.
L'Italia è in ginocchio,
ma non è finita.
Siam pronti alla vita,
l'Italia chiamò.


Poropò
Poropò
Poropoppoppoppoppò

mercoledì 5 aprile 2006

- post coitum


Non-fingere

Salve, proprio io, non te l'aspettavi, eh?
Nel bel mezzo del tuo lavoro squallido.
E sì che sono io, insomma non ti fidi?
Mi hai preso per un comico? Macché
Nessuno sa imitarmi come me.

E dunque eccitami, su, è il tuo mestiere, o no?
Dimmi che vuoi votare solo me.
Non devi fare finta, con me non puoi far finta,
Io me ne accorgo, e poi ti pago bene,
dimmi che vuoi votare solo me.

Non è come tu pensi, io non mi sento solo:
stasera ero a un comizio, la gente mi invocava,
la cena, e poi gli autografi, non riuscivo ad andar via.
(La gente non lo vuole, tu questo lo capisci,
la gente mi ama troppo, la gente non vorrebbe
vedermi mai andar via).
Così si è fatto tardi, il sonno mi è passato,
in tv film di merda, nessun sondaggio fresco
(tu puoi capirlo – essendo nel settore:
c'è un'ora della notte, un'ora sola, e lunga,
in cui anche l'uomo più amato del Paese
non riesce a farsi dire un solo sì).
Ma tu me lo puoi dire – soltanto, non-far-finta.
Non sono uno di quelli, con me non puoi far finta.
Inoltre pago bene, per cui avanti, dillo,
che vuoi votare solamente me.

E no che non mi annoio, io non mi annoio mai.
Lavoro sedici ore al giorno, non lo sai?
E tu?
Lo vedi, solo dieci, lo vedi come va:
per questo io faccio il leader, tu la centralinista.
E in più io sono figlio di un professionista
Mentre tuo padre era operaio, vero?
– ma devi dirla giusta, con me non puoi far finta,
io me ne accorgo subito, e inoltre pago bene,
per questo sai che voterai per me.

Ci pensi a quante cose in comune, tra me e te:
noi arrapiamo il popolo, questo è il nostro mestiere.
E quante cose io potrei insegnarti
sull'essere gentile, disposta e mai sincera,
soprattutto mai sincera – sennò ti vien da ridere,
e non si deve ridere! S'ammoscia se tu ridi.
Sorridere bisogna, a denti stretti, sempre
sorridere e sudare, è questo il mio mestiere
(e il tuo, natuaralmente).
Ma stanotte è diverso.
Stanotte non puoi fingere, ti parlo da collega,
se fingi lo capisco, se fingi non ci riesco.
Ti prego, sii te stessa
E dimmi che vuoi votare solo me.

Ma sì, mi rendo conto
Che il tempo è denaro per entrambi.
Tu sai la tua tariffa al minuto, ma la mia?
Lo sai quanto vi costo al minuto, signorina?
Non puoi saperlo, è un conto che ho fatto solo io
Non lo sa neanche Giulio (del resto lui è una frana
Con la calcolatrice).
Ma quasi quasi, sai? A te io lo direi
mi sembri un tipo ammodo, lo sai che me ne intendo
E inoltre pago bene, perciò mi devi dire
che vuoi votare sempre e solo me.

È solo un mio capriccio, sondaggi io ne ho,
e guardacaso dicono quello che voglio io
(del resto è matematico, più paghi più hai ragione
non devi dirlo a me).
Io sono nel settore da trent'anni, si può dire
che i trucchi del mestiere te li ho inventati io
È un gioco troppo facile: più paghi più hai ragione.
Io forse pago troppo, ma questo non vuol dire
che tu ora possa fingere, io me ne accorgo subito,
perciò ora sii sincera, prova a essere sincera
nel dirmi che tu voterai per me.

Non ridere, non ridere,
non c'è niente da ridere:
è quell'ora della notte,
e io ti pago, sai.

Cerca di rilassarti, sii te stessa,
parlami un po' di te, ce l'hai un ragazzo?
Cosa? Hai una bimba? Fantastico! E si chiama?
Silvia! Ma pensa! Che bel nome! Silvia!
E il padre? Ma perché non vi sposate, voi ragazzi?
Io me lo chiedo sempre, perché non vi sposate?
La famiglia è importante, il mettere su casa,
e io posso anche aiutarvi.
L'assegno famigliare, vi toglierò le tasse,
vi laverò la macchina – se tu sarai sincera
devi essere sincera,
e dire che tu voterai per me.

Non può essere altrimenti,
non sei una cogliona.
Sei una che lavora,
non stai coi comunisti.
Mi sembri un tipo ammodo
Senz'altro intelligente
Bella presenza, immagino
– e io non sbaglio mai.
Perché non vieni su
a Cologno, un giorno o l'altro?
Un talento come te
è sprecato per le hotline.
Tu hai tutto quel che serve per sfondare.
Ti basta essere te stessa
– avanti, sii te stessa –
quando dici che mi vuoi
votare, che tu vuoi
votare solo me.

Adesso
Vuoi votare solo me
Dimmelo
Dimmelo
Non Fini, non Casini
Con Prodi non ci godi
Tu vuoi votare solamente me
Dimmelo
Dimmelo
Ma devi essere sincera
Se non sei sincera non ci riesco
Se non sei te stessa io non posso
E se scoppi a ridere io non…

Clic

Ma cribbio, cos'hanno tutte stanotte? Fanno le preziose, fanno.
Con quel che costano.
Proviamone un'altra, va.

lunedì 3 aprile 2006

- ombre nere

E poi, già, ci sarebbe anche il problema dei fascisti.
Ogni tanto bisognerebbe abbassarsi a dirlo. Che stavolta la Casa delle Libertà ha pescato veramente nel torbido; che il primo risultato della svolta di Fini è un bollino nella scheda elettorale con alcune siglette e fiammelle che non avremmo più pensato di trovarci, roba da volantino di liceo o da curva di stadio: fronte nazionale, forza nuova, sul serio? Se vince Berlusconi questa gente va in parlamento? Ma li faranno entrare, in bomber?

Chi non molla è perduto

Il rischio è di sembrare antipatici, radicalscic, anche un po' fuori dal tempo: i fascisti al governo, capirai. Come se in questi anni non avessimo avuto Buontempo o Storace (per dirne due a caso), e monumenti ai caduti di Salò e proposte di pensione ai reduci repubblichini, e fiction su quant'era brava e tosta Edda Ciano. Per cui insomma, uno o due simbolini con la fiamma in più o in meno che differenza fanno? Ma sul serio, cosa cambierà con una dozzina di deputati di Alternativa Sociale in più in parlamento? Cerchiamo di essere moderni, disinvolti, disinibiti. Fiamme tricolori a parte, cosa c'è di così sconvolgente nel programma di Alessandra Mussolini e compagnia? È il classico memo nazionalista: soldi alle famiglie baluardo di civiltà, soldi agli africani, così restano in Africa a farsi i cazzi loro, soldi un po' a tutti, tanto li stampiamo noi, no? (No. Glielo spiegherà poi Tremonti). Il lancio d'ortaggi al Candidato Luxuria, gesto esecrabile in sé, dà la misura della distanza dallo squadrismo storico, quello che bastonava a sangue. Vien da pensare che in Parlamento c'è già di peggio: che magari un po' di bomber tricolori possono equilibrare quegli altri simpatici in camicia verde, che non sono meno pericolosi.

Cosa c'è che non va, allora. Non lo so. Una sensazione. Non è la Mussolini in tv, non è neanche la celtica allo stadio. Gran parte del fascismo contemporaneo è puro folklore, eppure… quando succedono cose terribili come la morte del bambino Tommaso, quando una nazione compatta finalmente può liberarsi fiera, perfettamente giustificata, al suo Quarto d'Ora d'Odio… ti chiedi se in giro non ci sia più voglia di fascismo di quanta le liste elettorali riescano effettivamente a soddisfare.

A questo punto ti verrebbe voglia di misurarti col fenomeno, ma non è facile. Il fascismo è sfuggente. Contrariamente a una certa mitologia (Boia chi molla, chi si ferma è perduto, se indietreggio uccidetemi, ecc. ecc.), non c'è nulla di più sgusciante di un fascista. Sul serio. Prova a trovarne uno, prova a parlarci. Dalle mie parti, perlomeno, è impossibile. Ci sono, ma non si vedono. Sì che il fascismo serio, squadrista e agrario, lo abbiamo inventato qui: c'è scritto sui libri di Storia, e io mi fido. Eppure passiamo per regione rossa. Rossa? Ma è pieno d'ombre, anche qui. Io di sera ne ho viste. Ma scompaiono al sole.

Il caso che conosco meglio è quello di Forza Nuova a Modena. Oddio, "conosco meglio". In realtà non li conosco affatto, quelli di Forza Nuova a Modena. Perché sgusciano, appunto. Nei cinque anni di vita di questo blog, hanno fatto in tempo ad aprire due sedi in Centro – in entrambi i casi scomodando un bel po' di antifascisti incazzati e di forze dell'ordine. Mica male per un'organizzazione politica – salvo che a nessuno dei due indirizzi, oggi, risulta un'organizzazione di nome Forza Nuova. Al punto da chiedersi: ma esiste o no, Forza Nuova a Modena? E se non esiste, perché ci ha fatto perdere tanto tempo?

Prendi me. Ogni volta che Forza Nuova apriva una sede in Centro, io ho trovato un modo per farmi compatire.
La prima volta, è successo esattamente cinque anni fa. Cinque anni e un giorno. A quel tempo io ci abitavo, in Centro; ma non avevo la residenza. Come a dire che non potevo parcheggiare sotto casa.
Il giorno che ho saputo che Roberto Fiore stava per sbarcare in via Ramazzini a bordo di un Freelander, scortato da sette camionette della polizia, il mio antifascismo militante si è precisato in un grido di sdegno: Cani, porci, e puranche l'ideologo di Forza Nuova possono parcheggiare in Centro, ma io no! Tanto che scrissi alla Gazzetta di Modena. Scrissi che sì, va bene, ideologo finché vuole, ma poteva benissimo parcheggiare sui viali ed entrare in Centro Storico a piedi, come tutti i non residenti; o aveva paura? Di che? Dei cinesi di piazza Pomposa? Del Kebab all'angolo? L'ideologo di Forza Nuova ha paura che lo infilzino col Kebab?

In realtà mentre Fiore posteggiava in via Ramazzini (con gli agenti Digos ad aiutarlo a far manovra, suppongo), la prima esperienza di Forza Nuova a Modena si era già conclusa. Il modenese che in un primo momento aveva invitato Fiore stava già spiegando ai microfoni che non era sua intenzione aprire veramente una sezione FN, bensì fondare un'associazione tutta sua, chiamata Unione Nazionalisti Italiani, che forse esiste ancora (il simbolo sembra un aquilotto malriuscito, più probabilmente un piccione, l'animale totemico del Centro Storico). Ma il giorno dopo la Gazzetta titolava la rubrica della posta:

«Vi infilzeranno coi kebab»
Sotto c'era il mio nome. Non solo, ma per completare la frittata, nella versione Web esso compariva sotto un parere favorevole a FN – e sono certo che qualche cache se ne ricorda ancora. Vorrei poter dire di avere imparato, da allora, certe elementari regole di prudenza, ma è stato un processo lento. Due anni dopo a momenti mi arrestavano. La storia sta qui.

In sostanza fino a un certo punto era tutto secondo programma: un gruppo di forzisti, scortato da un nutrito drappello di forze dell'ordine, aveva inaugurato una nuova sede di FN in via Gallucci, mentre da fuori un bel po' d'antifascisti manifestava e sacramentava. Quando si è trattato di uscire dal centro, sono volate ben più che le parole, e bisogna dire che qualche manganellata da pubblici ufficiali se la sono presa anche i forzisti (ma bisogna anche aggiungere che un signore di Forza Nuova ha inciso con un'asta di bandiera un bel taglio sulla testa di un signore che manifestava contro di lui). Così, quando i neri hanno iniziato a ritirarsi virilmente in direzione Trento-Trieste (dove li aspettava un'ambulanza), noi… sapete come fa il cane col gatto, no? Se scappi, t'inseguo. Ecco, ci siamo messi a inseguirli; solo per sfotterli, mica per altro. In quell'occasione un poliziotto promise di rompermi la testa, siccome ero venuto a riprendere Cragno che continuava a sfidare verbalmente i forzisti che si leccavano le ferite (uno a momenti lo centrava con il ghiaccio degli impacchi).

Tutto qui? no, perché il giorno stesso la Digos promise che avrebbe "visionato i filmati", ma che io sappia l'unico video di tutto l'episodio lo chiesero gentilmente a un tale che da un balcone di Trento-Trieste aveva riconosciuto l'amico Cragno: sicché di tutta la manifestazione in questura probabilmente rimangono solo primi piani di Cragno che insulta i forzisti e di me che vengo a prenderlo; e l'unico sonoro è la voce del cameraman che dice: "Toh! Ma quello è Cragno!"

Da quel giorno in poi, non mi è mai capitato di vedere la sede di Via Gallucci aperta, ma è pur vero che non ci passo spessissimo. Le finestre, già protette da sbarre massicce, erano state coperte del tutto da schermi di acciaio dipinti di nero – faceva una certa impressione. Ci furono atti di vandalismo, una petizione dei commercianti – ma c'è stato anche parecchio silenzio, per un paio d'anni. Finché un mesetto fa, improvvisamente, non passo di lì e la trovo aperta! Finalmente! Salvo che non è più la sede di Forza Nuova in Centro. No. Il nero si è fartto giallo – ora è un negozio di articoli etnici. Indiani. (Ariani?) I fascisti sono sgusciati anche stavolta. Altro che Boia chi molla. Qui chi non molla è perduto.

A questo punto mi attendevo l'annuncio trionfale di una sede di Forza Nuova a Modena – che sarebbe già la terza! Ma per adesso, niente. Chissà, forse dopo il dieci aprile. E immagino che riuscirò a farmi compatire anche stavolta.

Nel frattempo me ne resto coi miei dubbi. Perché sono così difficili da afferrare, 'sti fascisti? Perché sgusciano sempre? Non dovremmo essere noi, a scappare da loro? Non dovremmo essere noi, ad avere paura? E in effetti un po' di paura io ce l'ho. Questo ciclico apparire e scomparire, è molto inquietante. Vien da pensare che il nero salti fuori solo quando serve, ma a chi? E com'è che adesso a Modena non serve più? E quand'è che servirà ancora? Qualcuno ne sa niente? Qualcuno ci capisce qualcosa? C'è qualcosa di serio o sono solo ombre, che scompaiono al sole?

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