Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi. Noi no. Donate all'UNRWA.

sabato 31 dicembre 2011

Consuntivo 2011


Quello che finisce oggi è stato, per questo blog, l'undicesimo anno. È un dato che parla da solo, e non è che dica cose molto rassicuranti nei confronti dell'autore del 99% di quanto è stato pubblicato qui. Al di là di qualsiasi considerazione sull'utilità, perfino sulla necessità del tenere aggiornata una pagina on line, nessuno dovrebbe bloggare così tanto. Siamo evidentemente di fronte a una patologia, anche se a tutt'oggi non è chiaro se il blog sia la malattia o la cura. Forse è la diagnosi. Io poi in qualche modo ho anche una vita, un bel lavoro, una famiglia che promette bene, non è che mi stia crescendo la gobba. Ho anche quasi smesso di bere (quasi), perché di notte poi non riesco a scrivere. Qualsiasi vizio che confligge con l'alcolismo mi sembra tutto sommato coltivabile.

Con tutto questo, l'anno che finisce oggi poteva davvero essere l'ultimo. Oltre alla tentazione della cifra tonda, c'è la vita che va avanti e riduce inesorabilmente le ore dedicabili ai passatempi, perlomeno a gennaio la vedevo così. Più che a chiudere, pensavo che dall'estate in poi il blog sarebbe finito in coma vigile, giusto un aggiornamento settimanale per segnalare le teorie sull'Unità. Quel che invece è successo, dall'estate in poi, è che riducendo il tempo, invece di diminuire le parole, sono calate le censure, e mi sono messo a scrivere di tutto e di più come se non ci fosse un domani, letteralmente, rubando ore al sonno e agli affetti, alzando la posta con un nuovo blog a tema agiografico, e il risultato è che il 2011 è stato uno degli anni in cui ho scritto di più, forse il più verboso in assoluto (non ci tengo a controllare). La filosofia sottesa è: diamoci dentro fin che siamo in tempo. Ma insomma si è capito che se mi togliete il tempo mi togliete il silenzio, non la parola. Io avrei bisogno di più tempo non per scrivere, ma per cancellare almeno la metà della roba che scrivo.

I cinque pezzi più letti del 2011:
1. Il più grande B. dopo il Big B. (aborto di una critica sistematica al programma di Renzi, molto apprezzata dai lettori dell'Unità)
2. Nudo! Vogliamo don Giussani nudo! (curioso successo postumo di un pezzo scritto nel 2003, quando don Giussani era ancora vivo (e proprio non voleva spogliarsi)).
3. Non siete così peggio di Breivik (scritto col telefono, adesso il mio t9 a ogni "br" mi consiglia Breivik).
4. Film per adulti (buffo, proprio adesso su rai3 stanno dando Noi credevamo. Il titolo continua ad attirare lettori che probabilmente non si aspettano la recensione di un film sul risorgimento).
5. Ovunque è Piazzale Loreto (la presenza di Buffon deve aver fatto la differenza).

Parliamo di accessi. C'è chi si vergogna di parlarne, chi nasconde il contatore: bisogna sempre prima puntualizzare che si scrive per sé stessi, e si scriverebbe anche solo per cinque lettori. Ecco, io no. Per me il contatore è parte integrante del gioco da tantissimo tempo. Non mi interessa scrivere per me stesso, francamente a questo punto non saprei neanche cosa scrivermi, dopo tanto che stiamo assieme è già tanto che ci sopportiamo. A me interessa produrre cose che gli altri trovino interessanti e leggibili: e più sono gli altri meglio è.

I pezzi più linkati:
1. Se ci riflettete
2, Lettera a Bruxelles
3. I diabolici agit-prof

Da questo punto di vista trovo abbastanza impressionante il fatto che malgrado i quaranta post in più rispetto all'anno scorso (come se quest'anno avesse avuto due mesi in più); malgrado un'opera di autosegnalazione sui social network sempre meno episodica, sempre più sistematica (e senza vergogna); malgrado le sinergie con l'Unità e il Post che sono due delle realtà internettiane più dinamiche in Italia... trovo abbastanza impressionante, dicevo, che gli accessi di quest'anno segnalino una perdita secca del 5% rispetto al 2010. È senz'altro lo spread più inoffensivo dell'anno, ma è un segno di crisi: anche perché, ribadisco, nel 2011 mi sono sbattuto quasi il doppio. Cosa sta succedendo? Si è deteriorato un rapporto coi lettori? Che fine hanno fatto i dialoghetti (è vero, non ne scrivo da un pezzo)? I raccontini? (quest'estate ho praticamente scritto un libro e non se n'è accorto nessuno), le recensioni? (non vado più al cinema). Ma ha ancora un senso questo blog dopo Berlusconi?

Non saprei. A occhio mi sembra una tendenza generale: i blog stanno perdendo traffico. Non sono più al centro della sfera: raramente ci si trova a conversare sotto il post di qualcuno. Gran parte della conversazione si è spostata sui network (in Italia il 2011 è stato l'anno della riscoperta di twitter), mentre i blog si sono appiattiti lungo le pareti: sono fonti da citare, carte da consultare. Se uno accetta questa nuova situazione, può anche immaginare un rinascimento dei blog nel 2012.

I pezzi più discussi (nei commenti):
1. Lettera a un giovane Ichino
2. I diabolici agit-prof.
3. Perché ho scelto Scienze Inutili
4. Sradicateli
5. Il più grande B. dopo il Big B

Io però con l'occhio al contatore mi pongo il problema. Dove diamine è finito facebook? Non mi arrivano più accessi da facebook. Lo scorso gennaio era ancora l'indirizzo che complessivamente mi mandava più nuovi utenti. Ora è sparito. Magari è solo occultato, facebook è veramente molto opaco. Però ricordo che anche solo un anno fa ci raccontavamo di come facebook non fosse la morte dei blog, ma un'opportunità di far conoscere a un pubblico molto più vasto i nostri contenuti: ecco, quella fase mi sembra finita, in modo anche abbastanza improvviso. O forse semplicemente non sono in grado di attirare l'attenzione su facebook. Vi faccio un esempio. Uno dei miei post più letti in assoluto quest'anno è del 2003. È successo che una domenica di febbraio, mentre cercavo di buttar giù il pippone per l'Unità, abbia letto l'ennesima uscita infelice della Gelmini e ne abbia scritto dieci righe sdegnate ed estemporanee su Piste. Stava piovendo, il dettaglio credo sia decisivo. Nel giro di poche ore il mio pezzino estemporaneo è stato condiviso, tramite facebook (ma anche e okvirgilio), da dodicimila persone: il post di Leonardo che quest'anno ha fatto di meglio è arrivato giusto alla metà. Di queste dodicimila, almeno quattromila hanno seguito un link che da Piste mandava a un vecchio pezzo del 2003. Sono episodi come questi, che mi rituffano nel 2003 e spiegano credo meglio di ogni teoria perché ormai il ranking, le classifiche basate sui link, non interessino più a nessuno. Essere lincati da un centinaio in più o in meno di blog amici non fa più molta differenza. Essere segnalati nel momento giusto (domenica mattina di pioggia) dall'utente giusto su facebook, o su twitter: questo fa la differenza. O almeno la dovrebbe fare. Tranne che da febbraio in poi facebook è quasi scomparso dal radar, e questo può in parte giustificare il 5% in meno.

I due pezzi più apprezzati da chi ha votato ai BlogAwards:
1. Il lodo Ligabue
2, Non siamo malati

I post migliori.
Ditemi voi nei commenti quali vi sono piaciuti di più; io davvero quest'anno non saprei cosa dire. Metà non me li ricordo proprio: credo sia indicativo. Devo dire che, al di là dell'effetto finale, i pezzi sul Post sono molto divertenti da scrivere. Una cosa che mi ricorderò del 2011 sono state le XXI notti: devo dire che l'agosto continua a esercitare un fascino particolare, l'idea di aggiornare il blog per pochi ossessivi nottambuli. Rimane il solito problema: la narrativa non fa accessi, la narrativa fa proprio scappare la gente. Perlomeno su questo blog. Perlomeno quando la scrivo io. Mi piacerebbe scriverne di più, ma a voi no. Potrei anche fregarmene, ma non era questo lo scopo del gioco, nel 2011. Magari nel 2012 mi metterò a scrivere endecasillabi sciolti di argomento pastorale, magari. Mi resta sempre la sensazione di scriver troppo e di non spiegarmi, dopo tanti anni di non avere ancora imparato a fare l'unica cosa che continuo ostinatamente a fare, che è stare qui a pestare tasti tutta la notte. C'è roba nel mio archivio - i primi anni - che ormai mi fa pietà e spavento. Cancellerei, ma non è sportivo. In fondo non faccio che scriverci sopra come se fosse un palinsesto, nella speranza che l'ultimo strato sia così buono che a nessuno venga voglia di grattare, di scavare, di vedere cosa c'è sotto: così ogni anno che cresce io mi seppellisco sotto un'altra tonnellata di scrittura, e non funziona, alla fine salta fuori tutto alla rinfusa, google non perdona, io lo so ma l'unica cosa che posso fare è scriverci sopra, scriverci contro, alla fine questi quaranta tasti è come se fossero un tasto solo che dice cancella, cancella, cancella - sì, no, scusate, buon anno.

venerdì 30 dicembre 2011

Monsignori, cacciate la grana

Stavo per titolare così sull'Unità, ma poi ad Avvenire si mettono a piangere e dicono che c'è un complotto massonico per fare pagare le tasse ai poveri preti, tutta colpa di Francesco Crespi o giù di lì.


L'ICI e i piagnistei dei monsignori (H1t#106) si legge laggiù.

A nessuno piace pagare le tasse: nemmeno ai monsignori, è comprensibile. Così come è comprensibile che sui loro giornali facciano tutto quello che possono per dimostrare l’utilità sociale di possedere canoniche e appartamenti esenti ICI, scuole private con rette cospicue esenti ICI, oratori con benefici statali (legge 206/2003) e così via (e nel frattempo le scuole pubbliche cadono a pezzi, e nei quartieri disagiati mancano centri di aggregazione non confessionali). Ognuno tira l’acqua al suo mulino, e non vi è in Italia un mulino altrettanto antico e nobile di quello della Chiesa cattolica.
Sono meno comprensibili le bugie: questa insistenza a ribadire che la Chiesa l’ICI la paga – e intanto ogni anno mezzo miliardo di euro non entra nelle casse dello Stato: è un miracolo? Ma Gesù i pani e i pesci li moltiplicava, mica li sottraeva. Sono meno comprensibili i piagnistei. L’idea che qualsiasi critica alla Chiesa non possa che essere una calunnia ordita da qualche salotto laicista. Io non so nemmeno com’è fatto, un salotto laicista: in compenso ho vissuto in una parrocchia per vent’anni, mi ci sono trovato molto bene, e proprio per questo ritengo che la Chiesa debba cominciare a pagare le tasse. Con qualche arretrato. Senza bugie squallide e senza piagnistei indegni della sua storia millenaria. Mi addolora che Giuseppe Dalla Torre su Avvenire vada a scomodare “la famigerata legge Crispi del 1890″, come se davvero in Italia non si possa criticare la Chiesa senza far parte di un complotto ottocentesco (immagino anche un po’ massone) quando la realtà è tanto più banale: in questa crisi stiamo tutti pagando tanto, e vorremmo che la Chiesa facesse la sua parte. Né di più né di meno.
Dalla Torre si domanda perché la polemica, “tanto aspra e violenta” (mamma mia), abbia riguardato “solo la Chiesa cattolica”. Certo, potrebbe trattarsi di un complotto laicista che si trascina dal 1890. Oppure la Chiesa potrebbe essere l’obiettivo delle critiche più aspre perché è quella che con le esenzioni ottiene di più: mezzo miliardo, tutti gli anni, senza contare naturalmente otto per mille, cinque per mille, e tante altri generosi aiuti. O dovremmo prendercela con gli avventisti del settimo giorno? Coi sindacati? Vero, anche certe associazioni sindacali ottengono esenzioni. Ma non gestiscono che io sappia scuole private, cliniche private, catene alberghiere. Possono gestire dei doposcuola, questo sì. E – questo è il punto fondamentale – saranno doposcuola aperti anche a chi cattolico non è. Perché a mio parere è questa la vera posta in gioco: il pomeriggio dei ragazzi italiani. Dove possono andare? Cosa possono fare? La parrocchia, l’oratorio, non possono essere le uniche risposte.
Quando due settimane fa mi sono permesso di scrivere questa cosa, ho ricevuto molte risposte critiche(civili, non sdegnate: cerchiamo di abbassare un po’ i toni) da parte di gente che, come me, in parrocchia ci è cresciuta, ma che a differenza di me ci vive ancora e ci fa volontariato. In sostanza mi hanno detto quasi tutti che non esiste apartheid tra ragazzi cattolici o non cattolici, che un musulmano può fare un percorso nell’AGESCI fino in fondo, che nessuno più in oratorio guarda il certificato di battesimo. Sono convinto che in molte realtà sia così. Ma non credo che sia così dappertutto, e non credo nemmeno che sia giusto. I cattolici hanno il diritto di fare apostolato. Non è giusto considerarli dei supplenti dei servizi sociali. Soprattutto se, come i loro esponenti politici non mancano di ricordarci, hanno dei valori non negoziabili che vengono prima delle stesse leggi dello Stato.
Se in un quartiere non c’è un consultorio, non mi posso affidare al consultorio cattolico, perché banalmente per i cattolici certe pratiche legali in Italia equivalgono all’omicidio: e hanno tutto il diritto di pensarla così, ma io ho tutto il diritto di avere nel mio quartiere un consultorio pubblico, pagato con le mie tasse: non voglio pagare le tasse per quello cattolico. E il famigerato Crispi del 1890 in questo problema non c’entra nulla. Se un padre musulmano vuole che suo figlio viva i suoi pomeriggi in un contesto relativamente protetto, ha il diritto che questo genere di contesto gli sia fornito dallo Stato, con le tasse che paga; non dovrebbe doversi fidare dell’oratorio cattolico, delle assicurazioni di un prete (ma voi vi fidereste di un Imam?), e soprattutto non dovrebbe essere costretto a pagare, lui musulmano, per un servizio confessionale. Non è solo ingiusto: c’è qualcosa di empio, in questa situazione, che un uomo di Chiesa dovrebbe capire. Se accanto ai suoi valori non negoziabili ha anche una coscienza.http://leonardo.blogspot.com

giovedì 29 dicembre 2011

30 modi per dire Spread in italiano senza sputare

Forse lo spread non sarà il segno della fine dell'Italia, ma è sicuramente uno dei piccoli grandi segni della fine dell'italiano. Costava davvero così tanta fatica tradurlo? È davvero un concetto così alieno dalla cultura italiana, da richiedere un prestito dall'inglese? Peraltro la parola che ci hanno prestato (con un tasso variabile) è vaghissima, incastra la povera lingua italiana in un groviglio esplosivo di consonanti da cui non ci si può liberare senza pagare un abbondante scotto in saliva (che crea problemi coi microfoni nelle dirette), e nella lingua di provenienza ha un campo semantico amplissimo che va da "spalanca" a "margarina". Davvero non riusciamo a trovare di meglio?

Ma sì che ci riusciamo. Quello che segue è il risultato di un paio d'ore di brainstorming su un forum di cazzeggio, figuratevi se ci si mettessero i linguisti seri. Sono abbastanza fiero di presentarvi Trenta italianissimi modi di tradurre "spread", se l'italiano ci interessasse davvero. L'italiano si salva anche così (più così che incaponendosi sull'apostrofo di "po'" o di "quel").

1. allargamento
2. allargo
3. allontanamento
4. allungamento
5. allungo

6. differenza

       (preciso e di uso comune, forse un po' troppo comune).
7. differenziamento
8. differenziazione
9. discordanza
10 . discrepanza
11. discrimine
        (Questo per esempio è elegante. Attualmente è poco adoperato, per cui potrebbe diventare un ottimo tecnicismo: all'inizio suona strano, dopo tre giorni farebbero tutti a gara per riempircisi la bocca).


12. dislivello
13. disparità
14. distacco
15. distanza
16. distanziamento
17. divaricazione
18. divario 
         (anche questo non è male: sette lettere, nessuno dispendio di saliva inutile come in sPread).


19. forbice
         (il mio preferito: tecnico e concreto. E poi ho un debole per le allegorie).


20. iato
         (stavo per pubblicare quando lo ha detto Monti in conferenza stampa. Non è precisissimo, ma è il più breve in assoluto: quattro lettere, due in meno di spread, perfetto per i titoli dei quotidiani).
21. intervallo


22. scarto
         (un altro papabile: sei lettere, tante quante "spread", molto più comodo da pronunciare, traduzione praticamente letterale).

23. scollamento
        (c'è qualcosa di vagamente appiccicoso nel campo semantico dell'originale "spread").

24. scollatura
       (ideale per i garbati giuochi di parole... peccato che il Bagaglino abbia chiuso)


25. separazione (più chiaro di così)
26. slargo (breve, chiaro, e anche un po' violento)
27. spalancamento
28. spalmatura
29. sperequazione
30. stacco


Bastano, che dite? Ovviamente nessuno si aspetta che i titolisti comincino a usare "divaricazione" o "differenziamento", però valeva la pena di mostrare che il vocabolario italiano non è quella mummia ingessata che si crede in giro. "Iato", "scarto", "forbice", "discrimine", sono tutti termini italianissimi, comprensibili, eleganti, relativamente brevi, e non ti fanno sputare l'anima col significante.
Che a quello ci pensa già il significato.

(Grazie a tutti quelli che hanno giocato, segnatevi un caffè sul mio conto).

La festa dei feti

Era ieri, Santi Martiri Innocenti. Martiri di che? Di Erode?


Ma siamo tutti un po' Erodi dentro, in Italia dal 1978. E ancor di più dal 2007, quando Benedetto XVI ha chiuso il Limbo. Se ne parla sul Post, speriamo bene.

28 dicembre - Santi Martiri Innocenti (1-1).


Racconta Matteo nel suo Vangelo (2,1-16) di come Erode, all'arrivo dei Magi a Gerusalemme,  cascasse dalle nuvole: cercano un bambino? Che da grande farà il re dei Giudei? Interessante. Provate a cercare a Betlemme, secondo i miei scribi potrebbe trovarsi là. Andate, andate, però poi se lo trovate venite a dirmelo che interessa anche a me, il futuro re dei Giudei. I Magi vanno e trovano effettivamente Gesù, ma vengono avvertiti in sogno di non ripassare da Gerusalemme, ché quell'Erode - se proprio non l'hanno capito da soli - non è animato da buone intenzioni. E infatti quando Erode si rende conto del bidone, fa spallucce e decide di massacrare tutti i bambini di Betlemme e dintorni sotto i due anni. Una strage?

Per più di mille anni i pittori la descrissero così, trasferendo spesso sulla tela il ricordo dei massacri di cui erano stati testimoni (assolutamente da brividi, per esempio, Bruegel il Vecchio, che invece della solita montagnola di bambolotti sgozzati mostra un drappello di mercenari che devasta un villaggio, e tu sai, lo capisci benissimo, che Bruegel il Vecchio quei mercenari li ha visti davvero da giovane, in azione). Negli ultimi secoli tuttavia si comincia a minimizzare, una strage, via, quanti bambini sotto i due anni vuoi che ci fossero a Betlemme, il capoluogo più piccolo della Giudea? Secondo Giuseppe Ricciotti più o meno una ventina, meno delle vittime di una banale influenza stagionale in quei millenni senza paracetamolo. Insomma, sì, una strage, però una come tante, niente di eccezionale.

Non è come credete, non c'è nessun complotto massonico o giudaico in corso per rivalutare la figura di Erode il Grande, che - su questo giudei e gentili sono concordi - era soprattutto un grande pezzo di merda. Per prima cosa non era ebreo, ma idumeo: la differenza è sottile, ma in sostanza non poteva che essere detestato dai giudei di Gerusalemme e in particolare dal partito fariseo, il Likud del tempo. In compenso era sostenuto dai Romani, sì, ma erano tempi difficili anche per i collaborazionisti: Cesare batte Pompeo e allora ti metti con Cesare, poi lui muore e ti metti con Marco Antonio, ma in Egitto c'è Cleopatra che vuole farti fuori e ci riesce quasi, poi ad Azio Marco Antonio e Cleopatra vanno a picco e tocca farsi amico Ottaviano. Nel frattempo ci sono i Parti che spingono da Est, gli Arabi da sud. I figli da strangolare prima che diventino troppo ambiziosi. E un terremoto. Mancava giusto un Re bambino in una mangiatoia. No, per essere riuscito a regnare per più di trent'anni in quella terra di matti, Erode doveva essere davvero un grande stronzo. Su questo le fonti (che poi si riducono a Flavio Giuseppe, ebreo latinizzato) concordano. A Roma i cesari si raccontavano barzellette: preferiresti essere il figlio di Erode o il suo maiale? Preferirei essere il maiale, almeno sarei sicuro che non mi mangerebbe, ah ah, che antisemiti quegli antichi Romani (continua...)

Insomma, nessuno vuole bene a Erode. Quando morì, per essere sicuro che si piangesse al funerale, fece rinchiudere un po' di giudei importanti in un ippodromo e ne ordinò il massacro. Flavio Giuseppe ci racconta cose del genere, abbastanza inverosimili, ma che ci fanno capire quanto poco gli fosse simpatico: com'è possibile che si dimentichi invece un episodio succoso come la strage degli innocenti di Betlemme? I casi sono due: o Matteo si è inventato tutto (scopiazzando per altro una leggenda rabbinica sull'infanzia di Mosè, in cui l'orco ammazzabambini era il Faraone)... o la strage degli innocenti doveva essere passata inosservata: una stragetta, via, un eccidio. Vogliamo dire una dozzina di neonati? Comunque abbastanza per comporre un quadro agghiacciante. Il capolavoro resta quello di Guido Reni (lo trovate alla pinacoteca di Bologna) la composizione triangolare dovrebbe avere ispirato Guernica.

Ma stanotte ho scoperto altre due perle: un Duccio di Boninsegna davvero struggente, con le madri dolenti che abbracciano i bambolotti insanguinati. Ecco da Duccio non me lo sarei mai immaginato, per me è sempre stato uno di quei senesi ieratici e antipatici, e invece la sua strage è triste davvero, piangono anche gli assassini. E poi sul Sacro Monte di Varallo, che è una specie di Terrasanta in Miniatura, c'è una composizione di terracotta del Cinquecento con dei soldati ad altezza naturale che conficcano delle spade vere in neonati a grandezza naturale, e in un angolo sul trono c'è pure il lascivo re Erode che approva: ho visto solo una foto, ma il risultato ha un che di morboso che lo rende inquietante. È vero che mi emoziono con poco, ultimamente.

La festa degli Innocenti era, nei secoli passati, un piccolo bis del Natale, in cui si praticava un simpatico rito purtroppo messo da parte nell'ultimo Concilio: presbiteri e diaconi scambiavano i loro seggi coi chierichetti, in pratica la Messa la dicevano i bambini. L'orrore della strage veniva ampiamente superato dall'immediata santificazione dei neonati. In realtà ci sarebbe un problema teologico: come fanno quei coetanei di Gesù a salire subito in cielo, se nessuno li ha battezzati? Non portano con sé il peccato originale, quello di Eva e Adamo? Naturalmente c'è sempre la scappatoia: quando Gesù passa dal regno dei morti a prelevare i patriarchi, può anche aver prelevato questa ventina scarsa di neonati frignanti. A vederla da questo punto di vista, morire neonati ammazzati da una guardia di Erode si rivela un autentico colpo di fortuna: tre chilometri più in là magari si moriva di lebbra e si finiva all'inferno senza condizionale... o no? Dove finiscono i bambini non battezzati?


Annoso problema, che tormentò più di un padre della Chiesa. Sappiamo tutti come veniva risolto più o meno ai tempi di Dante: gli innocenti non battezzati (ma anche gli uomini savi e virtuosi vissuti prima di Giovanni Battista e di Gesù) finivano nel Limbo, un'oltretomba a parte: né paradiso né purgatorio né inferno, anche se Dante per una questione di ordine la infila in quest'ultimo, ma in una sezione priva di supplizi di sorta. In pratica è l'Ade greco-romana, un non-luogo di ombre dove non si è né felici né tristi, perché in sostanza non si vive. Come soluzione non era forse il massimo dell'eleganza, ma salvava capra (l'importanza assoluta del battesimo) e cavoli (che razza di Dio ti sprofonda nell'inferno perché un tuo avo ha mangiato una mela di nascosto?) Il limbo tuttavia non è mai stato un dogma ma, come abbiamo saputo solo di recente, un'ipotesi, mai particolarmente apprezzata dal cardinale Ratzinger e respinta definitivamente nel 2007 sotto Papa Benedetto XVI da una Commissione Teologica Internazionale nel documento "La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo":
...vi sono ragioni teologiche e liturgiche per motivare la speranza che i bambini morti senza Battesimo possano essere salvati e introdotti nella beatitudine eterna, sebbene su questo problema non ci sia un insegnamento esplicito della Rivelazione.
La mossa di Benedetto XVI, oltre a spalancare le porte del paradiso cattolico a una moltitudine immensa di morti di parto, crea la cornice per la vera strage degli innocenti postmoderna, in confronto alla quale re Erode il Grande non può che apparire un serial killer di provincia: l'Aborto. Esatto, sì, se ogni embrione è Vita e ogni vita senza battesimo è comunque suscettibile di essere introdotta nella beatitudine eterna... i nostri aborti sono già in Paradiso che ci guardano e scuotono la testolina. Non poteva che finire così, la tradizione del limbo mal si conciliava con l'ossessione della Chiesa contemporanea per l'embrione. Gli aborti sono diventati i martiri della legge 194. E il paradiso è molto cambiato.


Non solo è diventato un'enorme nursery - se ammettiamo che i morti di parto siano salvabili, non possiamo immaginare che Dio faccia differenze tra epoche e razze, e quindi dobbiamo pensare a una moltitudine di feti e neonati di ogni etnia, ma perlopiù (statistiche alla mano) indiani e cinesi. Esatto, anche lì. Tu nasci in Italia, ti fai battezzare, ti comporti il meglio che puoi, ricevi tutti i tuoi sacramenti, poi muori e ti ritrovi in mezzo a una moltitudine di monelli orientali che non ha la minima idea di come ha fatto a trovarsi lì, è successo tutto in un attimo, e cos'è questo odore? Pollo al curry? Anche qui? Soprattutto qui? Per l'eternità? Vedi che nel medioevo non avevano tutti i torti, vedi che alla fine quell'ipotesi del limbo aveva un senso. Ma ormai è troppo tardi. La globalizzazione, sì. Anche in paradiso.

martedì 27 dicembre 2011

Dalla Padella alla Rivelazione

San Giovanni è apostolo, evangelista, vergine, martire no perché ha resistito a una frittura in pentola, allucinato profeta di sventure, forse è il fratellino di Gesù, forse è sua moglie, forse è immortale ma probabilmente no; è il patrono della Turchia, degli scrittori, degli alchimisti, degli editori e delle scottature.
Il suo Vangelo, dei quattro, è la gamba che traballa. Se ne parla sul Post, l'unico magazine on line coi dibattiti cristologici in tempo reale.

[Il pezzo si legge qui].

lunedì 26 dicembre 2011

Un giornalista indica un vulcano

Bocca insostenibile

Credo che i meridionali abbiano effettivamente qualche diritto di sentirsi offesi da Giorgio Bocca, che davvero scrisse su di loro cose affrettate e imprecise. Il suo disprezzo, davvero malcelato, non era occasionale: ha ragione Zambardino, esso rappresenta bene l'atteggiamento di una cultura tutt'altro che minoritaria e provinciale, tant'è che Bocca continuò a mostrarlo anche quando terminò la breve infatuazione per la Lega. Bocca è anche in questo caso un'epitome della storia italiana: un piemontese laico e democratico che sbarca nel sud ma non lo capisce, o meglio non capisce cosa ci sia di salvabile, e alla fine – complice la vecchiaia, che sgrava il fardello di speranze a lungo termine – si ritrova a dire Forza Vesuvio.

Di questo fanno bene i napoletani a indignarsi, mentre concludono le loro celebrazioni natalizie – magari quest'anno un po' più sobrie e austere – e si accingono a testare una volta in più i rodatissimi piani di evacuazione che dovrebbero mettere in sicurezza mezzo milione di abitanti nel caso il Vesuvio esploda davvero, visto che è tutt'altro che spento, anzi: la quarantennale eruzione è in ritardo di parecchio, e a questo punto qualsiasi cosa succeda potrebbe succedere piuttosto alla svelta e fare davvero molti danni. È curioso che nessuno ne parli mai. Di Bocca e dei suoi peggiori discepoli del nord sappiamo cosa pensare: è ingiusto aspettarsi informazione su un vulcano da chi per il vulcano fa il tifo. È più strano che ne parlino poco i meridionali, visto che il rischio di nubi ardenti e lapilli sulla superficie di popolosi centri abitati collegati da strade occluse dallo sverso abusivo di rifiuti...




...Voi, per esempio, che vi state toccando in questo momento, ecco, sì: Bocca non perdeva tempo a cercare di capirvi. Vi disprezzava. Buon anno, se non vi è di malaugurio.

sabato 24 dicembre 2011

Al Sole Mai Sconfitto

Tenete duro, lo spread tra sole e oscurità è destinato a diminuire. Nel frattempo davanti a un camino ci raccontiamo le vecchie storie di sempre, e qualcuno potrebbe arrivare nella notte e portarci qualcosa.


Il Dio Odino, per esempio. Gli Spettri dei Natali Passati quest'anno sono sul Post.

venerdì 23 dicembre 2011

Un', nessun', centomil'

Forse siete distratti dalla manovra Monti o dalla bozza Ichino o dal solstizio invernale, che ne so: comunque nel mondo vero in questa settimana è successo che Saviano ha sbagliato un apostrofo su Twitter, e da lì è partito un dibattito con Severgnini Riotta e pure lui.


E alla fine insomma anch'io ho scritto cinquemila battute su un apostrofo. Che faccio, mi vergogno? Sull'Unita.it (H1t#105), e si commenta là.

Il 2011 è stato davvero l’anno in cui l’Italia è arrivata su Internet. Sì, d’accordo, alcuni c’erano da vent’anni. Io da dieci, e già mi sento un nonno. Il grosso delle truppe è sbarcato verso il 2009, con Facebook. Ma il 2011 è stato una boa importante. Nel 2011 i vip italiani hanno scoperto Twitter. E da qui in poi non si torna indietro. Nel 2010 Internet lo usavamo ancora per condividere pensieri e foto di gatti con amici e sconosciuti. Nel 2011 ci sediamo comodi e guardiamo Fiorello che litiga con Sabina Guzzanti. È internet, la cosa di cui tutti parlano in tv. Fino all’anno scorso succedeva l’esatto contrario.
Il 2011 è stato l’anno in cui abbiamo visto certe dinamiche tipicamente internettiane trasferirsi sui quotidiani. Per esempio: un dibattito sull’apostrofo. Ecco, chi bazzica soprattutto Facebook e si è fatta l’idea di Internet come di un club di bimbominkia forse non lo immagina, ma ci sono luoghi su internet dove se sbagli un apostrofo ti massacrano; i grammar nazis (“nazisti della grammatica”) hanno molta meno pietà di chi la grammatica la studia e la insegna. In molti casi sono semplicemente dei troll, disturbatori che attaccano l’errore per distogliere l’attenzione sui contenuti di una discussione. Alcuni sono molesti, altri perfino benigni: ci aiutano a conservare la concentrazione, a non sottovalutare la grammatica.
Da qualche giorno i Grammar Nazis sono approdati su un quotidiano nazionale. Sul GiornaleAlessandro Gnocchi ha attirato l’attenzione su Roberto Saviano che, udite udite, osa scrivere “qual” con l’apostrofo. È sbagliato, no? Se ne è discusso su Twitter, con ospiti di eccezione come Beppe Severgnini e Gianni Riotta. Questo può anche servire a darci un’idea di cosa ci attende nel nostro futuro deberlusconizzato: di cosa parleremo quando non potremo più parlare di Lui? Di infinite cose, per esempio di dove mette gli apostrofi Roberto Saviano.
Quest’ultimo, dopo una consultazione popolare, forte dei nobili precedenti di Pirandello e Landolfi, ha concluso che non è un errore, e che continuerà a scrivere “qual” con l’apostrofo. E questo, Gnocchi, non lo può assolutamente consentire. Bisogna dire che qualche ragione ce l’ha: penso di poterlo dire con cognizione di causa, visto che la grammatica la insegno, e di manuali ne ho sfogliati parecchi. Non concordano sempre su tutto, ma l’apostrofo su “qual” è unanimemente rigettato, di solito in una delle prime pagine, che i ragazzini studiano e si dimenticano immediatamente. L’apostrofo su “qual” rimane infatti uno degli errori più gettonati fino all’esame di licenza media: oltre non vado, ma ho il sospetto che molti continuino ad apostrofare anche al ginnasio e al liceo. Secondo Gnocchi un giornalista che avesse fatto lo stesso errore sarebbe stato licenziato in tronco. E a me viene un po’ da ridere, mentre penso a quante volte ho trovato apostrofi del genere in tutti i quotidiani che mi è capitato di leggere: magari non nel “Giornale”, ma solo perché lo leggo davvero molto poco. Fa sorridere pure Severgnini, che da un apostrofo deduce che Saviano i tweet se li scrive da solo, senza ufficio stampa: come se li sapessero maneggiare davvero così bene, gli apostrofi, gli uffici stampa.
Insomma l’argomento di Gnocchi si può tranquillamente rovesciare: non è che un errore del genere si perdona soltanto a Saviano. L’apostrofo su “qual” è qual tipo di errore che commettono tutti nell’indifferenza generale, fin quando non ci casca, appunto, Roberto Saviano, con tutto il fardello di polemiche letterarie ed extraletterarie che si trascina con sé. Per gli altri scrittori i cecchini nazi grammar non perdono neanche tempo ad appostarsi: se qualche altro autore sbaglia un apostrofo, la colpa è sempre del correttore di bozze.
Quanto a me, devo confessare una certa stanchezza. Se penso agli errori dei miei compagni di internet, l’apostrofo di “qual” mi sembra uno dei meno importanti: non influenza in nessun modo la ricezione del contenuto, al massimo distrae chi ha la deformazione professionale del correttore. Se dipendesse da me, preferirei che internauti e giornalisti curassero più la punteggiatura, senza la quale persino un breve tweet a volte diventa ambiguo o incomprensibile.
Come insegnante naturalmente continuo a correggerlo, quell’apostrofo: a cancellarlo e a farlo notare con vigorosi segni di penna rossa, anche se ho la sensazione di sprecare tempo che dovrei dedicare a correggere errori più interessanti. Come appassionato di fatti linguistici invece mi sento di poterlo dire: quella regola è spacciata, non sopravviverà a un’altra generazione di utenti di internet. Se davvero continueremo a scrivere così tanto (il che per quanto mi riguarda è una buona notizia), ci sono fatiche mentali che presto o tardi rimuoveremo, come quella di dover distinguere ogni volta tra “quell’” con l’apostrofo e “qual” senza. E presto o tardi anche l’orribile “pò” senza apostrofo e con l’accento entrerà sui dizionari – dopo essere passato attraverso i quotidiani, che non ce ne hanno mai veramente fatti mancare. La lingua cambia un po’ ogni giorno; i grammatici lo sanno e presto o tardi si adeguano. Può sorprendere il fatto che alcuni dei più accaniti conservatori resistano proprio su internet. Ma chi ci bazzica già da qualche tempo lo sa: è la jungla ideale per qualsiasi giapponese ancora in attesa di ordini dall’imperatore Hirohito. Anzi, in certi contesti la regola più apprezzata è proprio la più inutile e astrusa: nel momento in cui i network sono diventati “sociali”, è diventato fondamentale dimostrare di saper stare in società. Più che filologia, si tratta di galateo: disporre gli accenti come le posate in tavola. Inutile chiedersi perché qui no e lì sì: sarebbe come chiedersi il motivo della forchetta dell’insalata (e comunque alle elementari tutti questi perché non ce li fornivano)… http://leonardo.blogspot.com

mercoledì 21 dicembre 2011

Lettera a un giovane ichino

Caro giovane disoccupato, oppure lavoratore, e quindi sicuramente precario. Caro giovane di sinistra, o di destra, o di nessuno, o del migliore offerente.

Tu che su facebook scrivi almeno una volta al giorno che il sindacato non ti rappresenta; che il PD è un partito di pensionati per i pensionati; che l'articolo 18 è un arnese fuori dal tempo che ti opprime; tu che tra le caste che soggiogano questa povera Italia non ti stanchi mai di ricordare la più odiosa, quella dei dipendenti a tempo indeterminato illicenziabili; tu che non ti perdi un'intervista a Pietro Ichino e me ne aggiorni su twitter; caro giovane disoccupato o precario:

volevo dirti che in linea di massima hai ragione.

Il sindacato davvero non ti rappresenta – del resto dovrebbe? Non sei iscritto. Il sindacato non è un ente benefico che lotta per un mondo migliore: è un'associazione che tutela i diritti dei suoi tesserati. Il PD è davvero un partito di pensionati, anzi ha il suo daffare a tenersi buono lo zoccolo molle di anziani che rimane fondamentale in vista delle elezioni dell'anno prossimo. E quindi, insomma, ti resta Pietro Ichino. Ti ha spiegato che in Italia c'è un recinto di lavoratori tutelati (pochi) e una prateria di precari e disoccupati, e la sua proposta è più o meno: aboliamo il recinto. Dopo ci sarà più lavoro per tutti e anche più diritti, sì, per tutti. Sto semplificando, ma non è che Ichino e i suoi altoparlanti su giornali e tv la facciano molto più complicata, eh? Diciamo che la mettono giù in un modo più convincente.

Però, caro giovane, tu e Ichino potreste avere ragione anche su questo. Che ne so io, dopotutto. E quindi non ti chiedo di smettere di prendertela col PD, o con la CGIL, o con quel feticcio che è l'articolo 18. Puoi continuare se ti va a vedere in me un membro della casta, perché ho un contratto a tempo indeterminato, anche se alla fine del mese magari piglio meno di te. Vorrei soltanto essere sicuro che tu abbia capito cosa stai chiedendo.

Tu non stai chiedendo di abbattere il mio steccato. Quello ormai resta. La Fornero non si pone neanche il problema. Nemmeno Ichino osa. Il mio steccato non è in discussione. Tu stai semplicemente lottando perché nessuno sia più ammesso dall'altra parte. Chi è stato assunto prima della futura riforma Ichino resterà più o meno garantito. Gli altri, anche se sono arrivati a un tempo determinato dopo anni di contratti a progetto, resteranno per sempre al di qua. Licenziabili per un capriccio.

Posso essere più chiaro? Tu non stai lottando per togliere un diritto a me. Tu stai chiedendo che lo stesso diritto non possa più essere esteso al te stesso di domani. E si capisce, sei giovane e pieno di energia. Cambiare contratto una volta al mese non ti spaventa, perché dovresti ambire a una sistemazione a tempo continuato sotto l'ombrello dell'articolo 18? e a una panchina ai giardinetti, già che ci siamo? Largo ai giovani.

Lo stesso vale per le pensioni. Quando chiedi che siano tagliate, non stai parlando delle pensioni dei tuoi genitori. Stai parlando della tua. Quando auspichi l'abolizione della pensione di anzianità, non stai parlando della mia anzianità: stai parlando della tua. Quando chiedi che sia innalzata l'età pensionabile, è della tua vita che si parla. (Ma tanto tu non invecchierai come tutti gli altri, tu a 66 anni sarai ancora pieno di tanta voglia di fare). Lo so che sei in buona fede, quando pensi che il corpo flaccido e inerte del mondo del lavoro si meriti una sferzata: voglio solo essere sicuro che tu abbia capito che l'unica schiena a disposizione è la tua. Dopodiché, puoi continuare a ichineggiare e perfino sacconeggiare, se ti fa sentire bene. Magari hai ragione. Magari davvero l'unica strada è quella di alzare l'età pensionabile (la tua), e rendere più facile il licenziamento (tuo). Io resto scettico, ma è Ichino l'esperto.

E lui sta pur tranquillo che non lo licenzia nessuno.

C'è sempre qualcuno che ti odia (sull'internet)

La lista è la morte

C'è stato un po' di baccano, ieri, a causa di una lista comparsa su di un sito neonazista. Io sono arrivato a casa tardi e non sono riuscito a leggerla: il sito era inaccessibile a causa del traffico elevato (poi è tornato visibile, ma la lista era stata cancellata). Si trattava di un forum semisconosciuto, ma quando i quotidiani hanno scoperto il fattaccio (Repubblica è stato il primo, direi), da blog e social network tutti hanno cominciato a puntare link verso la lista, che da quel che ho capito censiva gli italiani da odiare perché amici degli immigrati.

Io naturalmente sto con gli immigrati, auspico l'estinzione dei fascisti eccetera. Però queste ondate di indignazione mi lasciano perplesso. Un gruppetto di fascisti butta giù un elenco di nominativi; nessuno per quanto ne so ha scritto “italiani da ammazzare”. È una lista di persone odiose, su internet se ne stilano parecchie. Peraltro non è mai successo fin qui che un personaggio à la Breivik o alla Casseri, nel momento in cui decide di passare alle vie di fatto, utilizzi una lista divulgata via internet: di solito c'è un notevole scarto tra chi scrive su un foglietto (o su un sito) i nomi delle persone che detesta e chi si procura le armi e scende in strada a farle fuori. Insomma le possibilità che quella lista potesse ispirare l'istinto criminale di un fanatico erano abbastanza esigue. Fino a ieri.

Poi ieri Repubblica, Twitter e via dicendo hanno iniziato a puntare sul forum semisconosciuto. Migliaia di persone hanno potuto leggere la lista o scaricarla prima che si oscurasse, e a questo punto la possibilità che qualche emulo di Casseri l'abbia letta e decida di utilizzarla è cresciuta sensibilmente. È il solito doppio taglio dell'informazione: vale la pena dare risalto nazionale a un gruppetto che stila liste di proscrizione? Io non lo avrei fatto; oltre al concreto rischio di attirare l'attenzione su gente pericolosa, mi ritroverei anche a spalare l'acqua col forcone: sicuramente da qualche parte qualcun altro sta compilando un'altra lista di persone da odiare, internet glielo consente e io non posso fare il cane da guardia di internet, mica mi pagano. C'è chi invece può.

Il giornalista che ha scoperto la lista di ieri non è nuovo a scoop del genere. Un'occhiata al suo sito (molto interessante) suggerisce l'impressione che le sue scoperte siano frutto di un'indagine sistematica: come quel prete che batte l'internet alla ricerca di siti pedofili, il giornalista in questione è costantemente alla caccia di segnali di razzismo, antisemitismo, intolleranza. Avrete notato che non lo chiamo per nome.

È uno scrupolo ridicolo, chiunque può benissimo recuperare le sue generalità. E anche lui presto o tardi troverà questo mio post, lo leggerà, e deciderà se infilarlo o no in un eventuale dossier sull'antisemitismo di sinistra. In effetti è lo stesso giornalista che la scorsa primavera commise una grossa carognata nei confronti di una mia doppia collega, blogger e insegnante, la quale professa opinioni fortemente critiche nei confronti dello Stato d'Israele. Il giornalista in questione l'accusò, sempre su Repubblica, di negazionismo: accusa falsa, peraltro. Non solo, ma nello stesso articolo suggerì, in modo piuttosto ambiguo (anche un po' maldestro, via), che questa blogger, essendo insegnante, avrebbe anche insegnato il negazionismo ai suoi studenti (e in effetti noi blogger-insegnanti siamo proprio così, la molla che ci spinge a riempire lenzuolate digitali sul sionismo o su San Giovanni Damasceno è che sono proprio gli stessi argomenti che spieghiamo a lezione ripetutamente, a tutte le classi, tutti gli anni, siamo così felici di continuare a parlare di sionismo e San Giovanni Damasceno che anche sul blog non vorremmo scrivere d'altro. Sono ironico). E arrivarono gli ispettori. Parli male d'Israele su un blog? Faccio in modo che ti arrivino gli ispettori a scuola. Ecco.

Per tagliar corto: il giornalista in questione ha già ampiamente dimostrato che se vuole sputtanare un insegnante lo fa. Però questo non è un buon motivo per non chiamarlo per nome e per cognome; magari era un buon motivo per non iniziare nemmeno a scrivere questo post, per fare finta di niente. Invece sto parlando di lui, ma il suo nome non lo metto perché si sa cosa succede ai nomi: li lasci lì e dopo un po' diventano una lista: e io una lista non la voglio fare, la lista è la morte, e anche se mi scappasse una lista, mai vorrei mettere al primo posto lui. Lui è un buon diavolo con una missione: battere la campagna, censire tutti gli insetti, tutti i parassiti che ce l'hanno con quelli come lui. O con qualche altra minoranza, tutto fa brodo. E sono convinto che nel suo far circolare insetti e parassiti è in buona fede: il suo scopo è mostrare quanta intolleranza (e quanto antisemitismo) ci siano in Italia, e a tale scopo qualsiasi infimo insetto, qualsiasi larva di bacherozzo abbia dichiarato di non sopportare il presidente della comunità ebraica di Roma fa buon brodo. Il problema è che in quel brodo i bacherozzi sguazzano, e sembrano addirittura ingrossare – ma questo effetto ottico collaterale il giornalista in questione lo ritiene sopportabile. Oppure si tratta del solito gioco win/win: i bacherozzi ottengono più visibilità, le minoranze minacciate più solidarietà. Sì. Non credo che convenga a tutte le minoranze.

lunedì 19 dicembre 2011

Non siete Angeli

Lo spieghi a Mohammed.

Cardinale Bagnasco, lei senz'altro in quanto presidente della Conferenza Episcopale Italiana ha tutto il diritto di dire quel che vuole, e quel diritto nessuno glielo contesta; però ha anche il diritto di prendermi in giro? Secondo me no. E allora perché ha detto a Cazzullo che la Chiesa paga l'ICI, quando chiunque può dare un'occhiata e capire che non è vero? Non è vero; possiamo discutere all'infinito se sia giusto o no, ma non è vero: la Chiesa non paga l'ICI sui seminari; sulle scuole private; sulle sale parrocchiali; sulle residenze dei preti, che sono lavoratori italiani quanto me: ma io la pagherò, loro no. Sbagliate o giuste che siano, le cose stanno così, e lei non dovrebbe dire a Cazzullo che stanno diversamente. (E Cazzullo dovrebbe essere il primo a farglielo presente, ma lasciamo stare per adesso Cazzullo).

Lei poi cardinale può parlare finché vuole di solidarietà: può ripetere all'infinito che i soldi che non paga allo Stato li dà ai poveri direttamente, e le mense della Caritas e tutto il resto. Può riempirsi la bocca un altro po' di quella splendida parola-libera-tutti, sussidarietà: dove lo Stato non arriva (perché non ha i soldi) ci arriva la scuola dei preti (coi soldi che prende allo Stato), l'oratorio dei preti, financo la piscina dei preti. Me lo può dire perché mi chiamo Leonardo, e quindi è previsto che me la beva.

Allora facciamo che stasera non mi chiamo più Leonardo. Stasera mi chiamo Mohammed. Ecco, lo spieghi a me che mi chiamo Mohammed, che se nel quartiere non c'è una scuola pubblica decente posso mandare mio figli alla scuola dei preti, coraggio, mi dica così. Tanto è noto che la percentuale dei bambini musulmani nelle scuole paritarie è uguale a quella nelle scuole pubbliche, no? Mi dica che al pomeriggio, quando io sono al lavoro e mia moglie pure, e mio figlio rischia di entrare nella compagnia del parchetto che negli ultimi anni ha formato i più professionali spacciatori del quartiere, ecco: mi dica che invece al pomeriggio posso portarlo in Parrocchia, all'oratorio, agli scout; che sono senz'altro aconfessionali o interconfessionali, vero? Mi dica che non c'è problema, che potrà andare in gita a Roma o a Loreto con tutti i suoi amici del corso chierichetti. Mi dica che anch'io, se voglio venire la sera al circolo Acli, sono ben accetto; che c'è una stanza per non bevitori, magari c'è anche un posto per pregare, visto che sì, in teoria anche una Moschea non pagherebbe l'ICI, ma in pratica non ce la fanno costruire, e quindi... insomma, cardinale, mi dica che nell'Italia multietnica di oggi la Chiesa ha deciso di diventare sussidiaria anche nei confronti delle necessità sociali espresse da comunità religiose non cattoliche, e quindi ad essa concorrenti. Me lo dica. A me che mi chiamo Mohammed. E cerchi di restare serio, mentre me lo dice.

Allora Cardinale, comincia a capire perché è ingiusto che le sue scuole, i suoi oratori, le sue polisportive, i suoi seminari non paghino l'ICI? Che non siamo più negli anni Settanta, non possiamo più demandare a un ente confessionale servizi a cui hanno diritto anche persone non battezzate? Lei sostiene che quello che la Chiesa non paga, lo reinveste in solidarietà. Non vede, o finge di non vedere, che nelle città più grandi e nei piccoli paesi questa solidarietà sta alzando uno steccato tra chi ha un certificato di battesimo e chi non ce l'ha. Lo so anch'io che alla mensa dei poveri non guardate chi è cristiano. Già all'asilo parrocchiale però le cose vanno un po' diversamente, vero? E d'altro canto voi le suorine le dovete far lavorare; però io se mi chiamo Mohammed non ho tutta questa voglia di lasciare mio figlio alle suorine, è colpa mia? Pago le tasse, compresa l'ICI: non ho diritto a una scuola pubblica senza suorine che, francamente con quella testa coperta, possono anche farmi un po' paura? Eh sì, cardinale Bagnasco. Metta che io me ne sia andato dal Marocco proprio perché questa cosa delle donne coperte non mi andava più giù.

Cardinale, per carità, lei fa il suo mestiere: è ovvio che tiri a pagare il meno possibile. Però certe storielle per favore, non me le racconti più. Ormai qui siamo alla seconda generazione di immigrati, e lei sa benissimo cosa vuol dire. La partita vera ce la giochiamo adesso. O riusciamo a integrare i figli degli immigrati, di qualsiasi origine o fede religiosa, oppure andremo avanti a compartimenti stagni: con interi quartieri senza polisportive, senza doposcuola pomeridiani, senza nulla che non sia la piccola camorra del parchetto. Abbiamo bisogno di centri sociali veri, come in Francia: abbiamo bisogno che “centro sociale” non sia più sinonimo di casa occupata da militanti extraparlamentari, ma sia il punto di riferimento della vita giovanile di un quartiere: un centro interconfessionale dove un ragazzino di qualsiasi fede può venire al pomeriggio a fare i compiti, o palestra, o a fare musica, o a leggersi un libro. Abbiamo bisogno di un servizio come questo e no, non possiamo più far finta che l'oratorio parrocchiale vada comunque bene. Non è più sussidiarietà questa, è una truffa. Non possiamo obbligare un contribuente musulmano a mandarci i suoi figli, e non possiamo obbligare un prete cattolico ad accettarli. A scuola non possiamo più avere classi con dieci alunni stranieri nello stesso quartiere dove c'è una scuola cattolica dove sono tutti italiani (e pagano). Si strappa il tessuto sociale, così. E non è una cosa che possano ricucire le dame dell'Unitalsi.

Cardinale, molli l'osso. Dia a Cesare quello che a Cesare spetta: tocca a lui finanziare terme e ginnasi in perdita, non a voi. Si ricordi che ogni bugia smaccata che racconta ai suoi cazzulli, sono altri mille o diecimila buoni cristiani che si segnano di devolvere l'otto per mille ai Valdesi. Faccia i suoi conti, e non ci dica più bugie.

sabato 17 dicembre 2011

I nuovi Cesari

Vae Victis, dotto'.
Un po' come quando la plebe romana in sostanza gestiva l'Impero, facendo e disfacendo gli imperatori a seconda di quanto pane e quanti circenses gli promettevano; un po' come quando il fine ultimo dell'amministrazione del glorioso Impero romano era la pancia del plebeo: forse l'arcano è tutto qui. L'Italia di oggi è fatta in un certo modo, con una capitale (dis)organizzata in un certo modo, e un traffico (de)strutturato in un certo modo, perché il fine ultimo dell'Italia è il tassista. È lui che deve camparci: quindi ci devono essere tot licenze (poche), tot semafori (tanti), tot linee della metro (poche), tot ciclabili (anche zero), tot ingorghi (il più possibile)... l'osservatore ingenuo ci vedrebbe il caos: al contrario è tutto un ingranaggio complesso e mirabile per servire il fine ultimo dell'universo, il tassista scoglionato che ascolta alla radio i retroscena sull'ultimo allenamento della Lazio. E in tutto questo io per esempio chi sono? Sovrastruttura. Servo fin tanto che insegno italiano ai figli dei clienti dei tassisti, servo quel poco che necessita a facilitare il dialogo tra il tassista e il futuro cliente, ma il mio fine ultimo è lui. Oltre al farmacista, ovviamente. Ma il farmacista lo conosco già, e lo temo.

Il tassista invece mi rimane un idolo misterioso, io vivo in provincia e in media prendo un taxi ogni due anni e mezzo, non avete idea di quanto sia surreale per me rendersi conto che in Italia comandano loro: scendere a Termini ogni tanto, vederli in fila, socchiudere gli occhi e cercare di immaginarseli come tante Marie Antoniette in altrettanti cocchi dorati – niente da fare, quelli smadonnano e clacsonano, sono i nuovi Cesari e manco si divertono. Intanto i giornalisti restano a piedi.

Ho scoperto sul Corriere (me ingenuo provinciale) che uno degli strumenti adoperati dai tassisti per mantenersi saldamente al potere è la deliberata disseminazione di notizie false, con quella capillarità che solo migliaia di automobilisti ciarlieri possono offrire. Rutelli voleva liberalizzare? Il tassista chiacchierando col cliente cominciava ad accennare agli interessi di Rutelli nella società dei parcometri; la bufala girava e Rutelli perdeva punti nei sondaggi. E noi stiamo a perder tempo su Internet, l'autostrada informatica, le informazioni alla velocità della luce e tutte le altre menate. Là fuori c'è il mondo vero, dove per trasferirsi dal punto A al punto B si viaggia ancora alla velocità modesta del taxi, e le informazioni te le fornisce intanto l'autista. Il tuo diaframma con la realtà. “Di Veltroni si disse che per illuminare la galleria sotto il Quirinale avesse tolto elettricità agli ospedali”. Il medium non è solo il messaggio, è anche il mezzo di trasporto – trasporto si fa per dire, a piedi arrivi prima, ma l'importante è il viaggio, non l'arrivo. L'importante è che l'economia giri, quel tanto da far girare il tassista. Il primo motore, non proprio immobile ma quasi. E i giornalisti vanno a casa.

Eppure erano titolari dello stesso potere, il quarto o il quinto, non ricordo. Potevano lanciare le informazioni, vere false e presunte, potevano spostare anche loro qualche voto, no? Si vede che non ne spostavano abbastanza: in generale, quando ci fu da scegliere, la lobby dei tassisti si salvò e la corporazione della carta stampata imbarcò acqua. Si vede che davamo più retta all'autista che ci dava del dotto' che all'editorialista che ci prendeva per cretini. Si vede che in generale leggiamo poco, abbiamo sempre letto troppo poco, il destino di una nazione è nelle sue abitudini e noi a leggere fino in fondo quelle righe scritte in piccolo non ci siamo mai abituati. Sul sedile dietro, poi, alla prima curva mi si rivolta dentro il cappuccino: ripiego il foglio e il tizio intanto: "Dotto', la sa l'ultima su Monti?"

(A Cesare, che una volta mi diede un passaggio).

venerdì 16 dicembre 2011

Vi rifaccio Benito?

Berlusconi ha detto di nuovo che sta leggendo i diari di Mussolini. Al di là di ogni dibattito sull'autenticità, quei diari han da essere una vera palla: è da un anno e mezzo che dice che li sta leggendo, ci hanno messo meno tempo a scriverli.



E insomma, lui racconta sempre le stesse storielle, io riciclo i vecchi pezzi. Dovrei aggiungere qualcosa? Anzi, ho tolto parecchio. Il Mussolini triste sul comodino di Silvio B. è sull'Unità.it.

«Sto leggendo i diari di Mussolini e le lettere della Petacci, e devo dire che mi ritrovo in molte situazioni. Anche con le lettere della Petacci», dice l’ex premier, che ricorda come Mussolini si lamentasse del fatto di non potere neppure raccomandare una persona. «Che democrazia è questa?», si chiedeva Mussolini. E infatti, fanno notare a Berlusconi, non era una democrazia quella di Mussolini. «Beh, era una democrazia minore», aggiunge Berlusconi.
Più che indignare fa tristezza, Berlusconi che si paragona a Mussolini; se non altro perché si ripete, e forse nemmeno se ne accorge. I (finti) diari del duce, per esempio, li stava già leggendo nel maggio del 2010, quando erano ancora inediti nelle mani di Dell’Utri. Insomma la lettura non è che stia proprio procedendo spedita. L’altra ipotesi è che i diari siano diventati il suo livre de chevet: li tiene sul comodino e ogni sera ne rilegge un po’. Devono avere ormai soppiantato la sua antica passione, l’erasmiano Elogio della Follia.
Il fatto che all’ironia e al vitalismo di Erasmo sia subentrata la stanchezza di uno Pseudo-Benito, che contempla lo sfascio della sua nazione e non riesce nemmeno a raccomandare un’amica, ci dice molte cose: e nessuna di queste cose riguarda Mussolini, che quei diari non li ha mai scritti. Il duce è ormai un mito più patetico che tragico: il grande uomo (tanto buono) che si prende sulle spalle la responsabilità di una nazione, ma nonostante i titanici sforzi non riesce a spostarla di un passo. Né lo Pseudo-Benito né il vero Silvio sono verosimili, quando confessano la loro impotenza: entrambi potevano fare e disfare ministeri, godevano di consenso popolare, controllavano i mezzi d’informazione. Eppure non ce l’hanno fatta: l’Italia è un corpo inerte che non si lascia possedere. Perlomeno, il finto Benito e il vero Silvio la pensano così. Il primo illumina il secondo di una luce crepuscolare: il Berlusconi che legge lo Pseudo-Benito è un potente affaticato, esaurito, che cerca nei fallimenti degli uomini illustri una consolazione ai propri, e si domanda cosa resterà di lui. http://leonardo.blogspot.com

giovedì 15 dicembre 2011

La tartaruga non ha visto niente

Quasi scordavo di segnalare la teoria di ieri, scritta a caldo, su questo fenomeno strano per cui se un attivista di destra, che scrive cose di destra su siti di destra, frequenta centri sociali di destra, improvvisamente apre il fuoco su dei senegalesi, ecco, in quell'esatto momento smette di essere di destra, le cose che ha scritto le ha scritte a titolo personale e sul sito di Casapound le cancellano immediatamente.


Ritirata strategica, camerati. Sei fascista solo se ti beccano (H1t#103) è sull'Unita.it, si commenta là.

Quando tre anni fa Nicola Tommasoli fu ammazzato, in una via di Verona, da quattro ragazzi che indossavano bomber neri, che andavano ai cortei di Forza Nuova, che alla domenica erano spesso in curva, accadde un fenomeno piuttosto curioso. Si scoprì che non erano di destra. Il sindaco Tosi affermò che la politica non c’entrava niente, il presidente della Camera Fini ammise che forse la politica poteva entrarci un po’, ma che a Torino quello stesso giorno a un corteo di sinistra avevano bruciato una bandierina d’Israele e questo era ugualmente grave, uno a uno palla al centro. Il coordinatore di Forza Nuova negò. Il Fronte Veneto Skinheads si dissociò, insomma quei quattro ragazzi che si vestivano come ragazzi di destra, che frequentavano ritrovi di destra, che menavano i capelloni come da decenni usano fare i ragazzi veronesi di destra… improvvisamente nessuno li conosceva più. Smisero di essere di destra nell’attimo esatto in cui furono beccati.
Ieri, nel momento esatto in cui Gianluca Casseri – che frequentava gruppi di destra, che scriveva cose di destra – l’ha fatta finita, a Casa Pound improvvisamente si sono dimenticati di lui. Non lo avevano mai conosciuto. Nel giro di pochi minuti sul sito della Casa non c’erano più i suoi lunghi articoli, deliri molto dettagliati, che ricordano per certi versi il testamento di Breivik. C’è da dire che Breivik nella scelta del luogo e del momento ha rivelato una lucidità ben più spaventosa di Casseri, che si è limitato a sparare nel mucchio. Però non era un matto: sapeva scrivere ed era molto apprezzato a Casa Pound. Dove c’è gente svelta, se non ad agire perlomeno a cancellare.
E insomma circolare, non c’è niente da vedere: si tratta solo di aspettare la prossima bandierina bruciacchiata, la prossima vetrina scheggiata, la prossima orda di editoriali accigliati sull’emergenza terrorismo, sulle nuove BR che senz’altro stanno nascendo nei pericolosi centri sociali di estrema sinistra.  http://leonardo.blogspot.com

mercoledì 14 dicembre 2011

Povera piccola infanticida

Aborto aborto, sentimento e ipocrisia... 

In questi giorni sono successe tante cose incredibili, tra cui una che può essere passata inosservata: il direttore della rivista della diocesi di Trento, Marco Zeni, ha dichiarato di comprendere la decisione di una sedicenne che (su pressante invito dei genitori) ha interrotto una gravidanza. E non parlava a titolo personale: parlava per conto della Chiesa, con la C. “La Chiesa non può certo dichiararsi a favore dell'aborto, ma capiamo le difficoltà della famiglia”. A meno che Zeni sappia cose che noi ignoriamo, le difficoltà della famiglia consistono in un fidanzato albanese geloso e manesco.

Io la posizione dei cattolici sull'aborto la capisco. Non la condivido, ma la posso capire, se non altro perché è piuttosto chiara. Per i cattolici la vita comincia dal concepimento: questo non so se si possa considerare un dogma, ma possiamo tranquillamente definirlo un postulato, nel senso che la morale cattolica di oggi si fonda su questo assunto, non dimostrabile e non discutibile: dal concepimento in poi la madre non è sola, c'è un altro individuo con lei che ha gli stessi diritti che ha lei.

Quindi se lei decide di interrompere la gravidanza commette un infanticidio, punto. Il fidanzato manesco e geloso lo puoi lasciare, ma da che pulpito lo giudichi, se nel frattempo mediti di far fuori un bambino? È una posizione che ha almeno il pregio della chiarezza. Puoi contestarla, ma probabilmente stai semplicemente affermando che non condividi un postulato (la vita inizia dal concepimento) partendo da un altro postulato (la vita inizia qualche tempo dopo il concepimento, forse tre mesi, forse boh). Per inciso, io sono convinto che tutti i sistemi morali partano da assunti arbitrari, ma sono sicuro che non v'interessi una mia lunga dissertazione sull'argomento. Stasera a dire il vero non appassiona nemmeno me. Stasera sono solo curioso di capire come sia possibile che il portavoce di un prestigioso vescovado abbia dichiarato di poter capire le ragioni di un'interruzione volontaria di gravidanza. Capire un infanticidio? Al massimo si può perdonare, per esempio a Giuliano Ferrara gliene sono stati perdonati almeno tre; ma bisogna che prima il soggetto si penta.

Ho due ipotesi. La prima è che sotto sotto Zeni, e tutto il mondo intorno a Zeni, non ci creda per davvero, in questa storia della vita a partire dal concepimento. Non è vero che sia un postulato incrollabile; è solo la conseguenza un po' maldestra di un'ideologia che parte da altre premesse. Dalla determinazione della Chiesa a mettersi al centro della cura del corpo, soprattutto: per cui la cosa davvero importante non è che i poveri embrioni abbiano salva la vita, ma che la Chiesa sia consultata sull'argomento, che la Chiesa abbia voce in capitolo. Il vero scandalo della 194 non sta nel fatto che una ragazza possa abortire – come se non fosse mai successo – ma che possa farlo senza chiedere il permesso a un prete, che se magari è in buona, se conosce la situazione... ti può anche capire, via, lo sa anche lui come va il mondo, no? Insomma, tutta questa recentissima dottrina della sacralità della vita dell'embrione potrebbe essere semplicemente una reazione nervosa degli ecclesiastici al fatto di essersi trovati messi in un angolo dalla medicina e dalla cultura laica. Sta bene, però scegliete: o vi tenete la vostra rigida, arbitraria ma chiarissima legge morale, oppure mettete la maschera del padre comprensivo. Ma tutti e due no: non potete gridare 'infanticida!' e poi soggiungere 'povera ragazza'. O è povera o è infanticida, tertium non datur.

La seconda ipotesi mi è venuta molto più grezza: a sentire Zeni sembra che per la Chiesa di Trento nulla sia peggio dell'aborto, tranne una cosa, una sola cosa di fronte alla quale l'interruzione di gravidanza è un male minore: e che questa cosa sia dar figli a un albanese. Decidete voi.

martedì 13 dicembre 2011

Solo per i tuoi occhi

Caruso. Elvis Presley. Julian Lennon. John Lennon. La Svezia luterana. La Sicilia tangentara già ai tempi di Diocleziano. Dante Alighieri e le sue emicranie. Gregorio XIII e i suoi calendari. Ragazze con le candele in testa. Occhi sui vassoi. Ragazze nel cielo coi diamanti. Truffe finanziarie. Vergini nei lupanari. Bambini che non credono in Babbo Natale, perché si fa prima a scrivere le letterine a...



...che passa dodici giorni prima. Sul Post c'è tutto quello che serve sapere su Santa Lucia, la Santa più luminosa che ci sia. Mancava solo De Gregori, allora l'ho messo qui. Fa' che ci sia dolce anche la pioggia nelle scarpe.

13 dicembre - Santa Lucia, vergine e martire (283-304).
Sono un po' emozionato: è la prima volta che mi capita di scrivere di una Santa nel momento in cui è trending topic su Twitter. D'altro canto voi non avete idea del baccano che è già iniziato a Correggio, o Montichiari, o Bussolengo; i negozi sono pieni persino in quest'anno difficile, e a scuola i bimbi friggono da stamattina. È la notte più lunga dell'anno.

Chi porta i regali in Alta Italia? Le aree di competenza di San "Babbo" Nicola (in rosso) e di Santa Lucia (in giallo) (Da prendere con le molle, anzi se avete notizie diverse segnalatemele)."

Sì, lo so, la notte più lunga dell'anno è il 22. A Roma, almeno. A Milano. Già verso Lodi le cose cambiano. Ovviamente non è una questione di fuso orario. Non si sa neanche bene il perché, fatto sta che i bambini di Lodi (e Reggio nell'Emilia, e Bergamo, e Udine) stanotte aspettano i regali, quelli che a Milano o Roma sono attesi solo per il venticinque. Da noi vengono prima, e non li porta Babbo Natale, quel San Nicola secolarizzato (ma ha ancora il mantello rosso dei vescovi) che in realtà gratta gratta è il Dio Odino sotto mentite spoglie. No. A Brescia, a Piacenza, a Cremona, in una regione intermedia tra Emilia Veneto Lombardia e Trentino, la letterina si scrive a Santa Lucia, che te li porta il 13, la notte più lunga che ci sia.

La ragione per cui a Carpi, per dire, la notte più lunga è questa, mentre sull'altra sponda del Secchia il sole sorge regolare, non è chiara. Comunque sappiamo precisamente quando si aprì questa frattura nello spaziotempo: nel 1582 Papa Gregorio XIII decise di rimettere mano al calendario di Giulio Cesare, che tutto sommato per millecinquecento anni si era difeso egregiamente, guadagnando però ogni anno undici minuti e 14 secondi rispetto alla rivoluzione della terra intorno al sole. Del resto, nemmeno lo stesso Cesare avrebbe potuto supporre che il suo calendario sarebbe rimasto in vigore per milleseicento anni. Ai tempi del Gregorio in questione ormai le stagioni stavano sballando: Pasqua da festa dei germogli rischiava di diventare sagra della mietitura, e in giro qualcuno cominciava a sussurrare che non esistessero più le mezze stagioni. Anche l'equinozio d'inverno, la notte più lunga dell'anno, si era stabilmente assestata intorno al 13 dicembre, Santa Lucia.

Potrei inserire centinaia di immagini di giovani svedesi con candelieri in testa, ma non riesco a liberarmi da questa.
Considerate che sofferenza doveva essere mettere a letto i bambini in un'epoca senza orologi meccanici, in cui ci si leva e ci si corica col sole: in estate c'era tutto il tempo per uscire di casa e stancarsi, ma in inverno? Come convinci il bambino a stare buono per quattordici ore (in Scandinavia anche diciotto)? Gli si dice: buono, che sennò San Nicola / Santa Lucia / Gesù Bambino / i Re Magi /la Befana non ti portano niente. E quella notte almeno il monello sta quieto, se non dorme farà finta, perché Santa Lucia se la guardi scappa via. Non è un caso che sia Lucia che Nicola siano santi amatissimi in Svezia, un Paese luterano che in teoria con la venerazione dei Santi dovrebbe avere chiuso nel Cinquecento, ma i bambini non viene mica in casa ad addormentarteli Martin Lutero. In teoria la festa svedese ha antenati antichissimi: l'originale “Lussi” svedese sarebbe un demone che cavalca in cielo nella notte più lunga (una brutta copia di Odino, evidentemente); forse era la Lucy che Julian Lennon disegnava nel cielo coi diamanti? I suoi compagni di caccia si chiamano Lussiferda, che in alto germanico immagino voglia dire qualcosa come “seguaci di Lussi”, ma suona anche così simile al latino “Lucifer”(“portatore di luce”) da far pensare che la tradizione si sia presto sporcata con elementi d'importazione. La contaminazione non si è fermata lì: le ragazze biancovestite che sfilano con una pericolosa ghirlanda di sette candele cantano un popolarissimo inno svedese che in realtà è Santa Lucia, la barcarola ottocentesca di Cottrau, che Caruso ha reso famosa in tutto il mondo (qui c'è la versione di Elvis, in un italiano dignitoso). Loro ci hanno dato gli Abba, noi Cottrau, giudicate voi chi sia in credito con chi. Addirittura da Stoccolma ogni anno parte una Santa Lucia che va a presenziare alla processione di Siracusa: perché la Lucia cristiana è nata e morta laggiù, dove ovviamente è festeggiatissima con fastosi cortei, anche se la tradizione dei regali nella notte più lunga sotto il 45° parallelo è molto meno sentita. Cosa sappiamo di lei? Niente, come al solito.

Quegli occhi li ho già visti
Per esempio, non è vero che le abbiano strappato gli occhi. O perlomeno non risulta dalle fonti più antiche, quegli Acta sanctorum che come abbiamo visto, quando c'è da scuoiare o squartare o abbrustolire una vergine non si tirano mai indietro: Lucia per esempio viene sgozzata (ma non muore finché non le portano la Comunione). Però anche negli atti più antichi di occhi strappati non si parla. Il tradizionale vassoio coi globi oculari in bella vista, una delle cose più splatter che possiate vedere in una chiesa cattolica, arriva nell'iconografia più tardi, con un sapore già barocco: indica che Lucia è la patrona degli occhi, e come tale carissima a tutti gli scrittori del medioevo che appena perdevano due gradi erano praticamente fottuti. (Non a caso Dante le concede un cameo in tutte e tre le cantiche: è lei che dà la scossa a Beatrice, ehi, guarda che il tuo ex, lì, il poeta, si sta perdendo in una selva oscura, insomma, fa' qualcosa). L'unica congettura è che Lucia si sia conquistata il patronato, e la posizione fondamentale nel calendario pre-gregoriano, per via del nome, che appunto la collega alla luce. Quanto alla sua leggenda personale, non parla né di luci né di lunghe notti: però è interessantissima, e se avete pazienza ve la racconto. Tanto la notte è lunga, no?

Lucia è una ragazzina con un sogno: diventare Santa come la Santa più famosa dei suoi tempi, che è Agata di Catania, martirizzata nel secolo precedente. Per convincere la madre Euticia a portarla sulla tomba del suo idolo, le racconta che Agata sarà senz'altro in grado di guarirla da quelle perdite che in un millennio senza assorbenti dovevano risultare ben più che fastidiose. Quando finalmente la madre la esaudisce, Lucia inginocchiandosi davanti alla tomba cade in deliquio e vede Agata tra le schiere degli angeli coi diamanti (“in medio angelorum gemnis ornata”) che bonaria la rimprovera: sorella, perché chiedi a me di fare quello che puoi fare tu sola? Insomma, sii te stessa, credi nei tuoi sogni ed essi si avvereranno eccetera. Quando si sveglia, Euticia è guarita e la decisione è presa: Lucia sarà Santa. C'è un problema. Lucia è un buon partito, con un fidanzato che non vede l'ora di mettere le mani sul cospicuo patrimonio amministrato dalla madre. Euticia però viene convinta dalla figlia a dare tutto in beneficenza. Qui la leggenda mostra la sua superiorità su altre dello stesso genere: si parla di soldi, raramente nelle fiabe questo avviene. Quando al fidanzato giunge notizia della munificenza di Lucia, va a chiedere spiegazioni a Euticia, che sibillina gli spiega: la tua futura sposa ha trovato un investimento che frutta di più di qualsiasi altro (“quod utiliorem possessionem sponsa sua invenisset”). Il tizio, essendo ovviamente pagano, non capisce: non conosce la parabola del tesoro nascosto nel campo. Si convince che Lucia ed Euticia stiano scalando chissà quale società per azioni, e addirittura le aiuta: quando si rende conto che quelle pazze stanno semplicemente foraggiando i poveri, le porta in tribunale con l'accusa di cristianesimo. (Siamo sotto Diocleziano, l'imperatore ammazzacristiani per eccellenza).

Di fronte al mostruoso inquisitore Pascasio, Lucia – neanche a dirlo – fa un figurone. Finché Pascasio non ha un'idea: qualunque cosa sia questo misterioso Spirito Santo che ti suggerisce tutte le risposte brillanti, adesso vedrai come faccio a cacciartelo via. Ti farò condurre al lupanare, dove ti violenteranno, e il tuo Spirito a quel punto ti lascerà (“Ego faciam te duci ad lupanar, ut ibi violationem accipias et spiritum sanctum perdas”). Ma Lucia non fa una piega, anzi. Qui la leggenda svela il suo nucleo più interessante: il concetto di intenzione. Nel mondo antico la purezza era una questione fisica, che in certi casi poteva essere recuperata mediante abluzioni rituali. L'impurità derivante da un rapporto sessuale era un fatto oggettivo, che tu acconsentissi al rapporto o no. Col cattolicesimo cambia tutto, almeno in teoria: in pratica ancora oggi violentare una fanciulla equivale a disonorarla, non solo a Siracusa. La leggenda è rivoluzionaria anche rispetto agli usi e ai costumi di oggi (altro che "non possiamo non dirci cristiani", dobbiamo ancora del tutto liberarci del paganesimo): se Lucia ha deciso di essere Santa e vergine, nessun cliente di lupanare potrà farle cambiare idea: "Non inquinatur corpus nisi de consensu mentis". È un dettaglio cruciale: la vera verginità non sta nell'imene, ma nella volontà.

Dopo aver teorizzato una cosa che ancora per secoli farà discutere i teologi (si può essere Santi anche se ti violentano?), dopo aver affermato con serenità che Lucia avrebbe potuto essere vergine anche nel mezzo di un bordello... la leggenda fa un passo indietro, e impedisce a Lucia di entrarvi effettivamente, nel bordello: la fantasia non osa ancora spingersi dove è arrivata la teoria. Così lo Spirito Santo aumenta all'istante il peso specifico di Lucia, che, rigida come il marmo risulta intrasportabile: Pascasio la fa attaccare a mille paia di buoi ("cum viris mille paria boum"), ma niente da fare. Decidono quindi di rovesciarle addosso la pece e darle fuoco, ma nemmeno questo funziona: alla fine riescono ad aprirle la giugulare, ma Lucia prima di morire ha ancora la soddisfazione di vedere le fiamme gialle che irrompono nel tribunale e portano via Pascasio, accusato naturalmente di malversazione – specialità della Sicilia più o meno da Verre a Totò Cuffaro. Nel frattempo Lucia annuncia la morte dell'imperatore d'occidente Massimiano e l'esilio del suo collega Diocleziano – e qui Jacopo de Varazze prende una cantonata: con tutti i cristiani che ha fatto ammazzare Diocleziano a conti fatti è l'unico imperatore del terzo secolo che dopo vent'anni di onorato servizio se ne andrà in pensione a coltivar cavoli a Spalato. E la storia insomma è questa qua.

Ora se permettete me ne vado a letto, ho sentito un lontano scalpicciare di zoccoli e non ho intenzione di farmi trovare sveglio, siccome ho scritto alla Santa a proposito di una certa autoradio con la presa USB. Alla prossima notte, le mie da domani sembreranno già più brevi.

(A Lucia, che mille paia di buoi non hanno smosso; che la pece ardente non ha scottato; che mi è stata accanto nelle notti più lunghe).

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